Non c'è zona del rock che non abbia esplorato. È astuto e strategico. Un'autentica "mente," insomma, che si è esplicata attraverso dodici album fino all'ultimo Spike ed alla fruttuosa collaborazione con Paul McCartney. Del poliedrico Declan MacManus, in arte Costello, ecco una succosa intervista ed il profilo critico.
Ci sono diverse cosa da dire su Elvis Costello. E ci sono diverse ragioni per le quali decidere di scrivere un articolo su di lui. Una di queste, senz’altro lo più bella e la più importante, è la qualità straordinaria del suo ultimo album “Spike” ci ha ridato la vera identitá immaginaria di questo artista, la sua capacitá di soppesare le emozioni come di controllare con estremo senso pratico la vasta portata del suo talento compositivo. In fondo queste caratteristíche – far combarciare la testa con la tasca – sono sempre state presenti nella carriera di Costello. Prima ancora di entrare a far parte del mondo musicale ad esempio Costello, accanito lettore di riviste specializzate, si era già fatto alcune importanti idee su come iniziare ed eventualmente gestire la propria attività artistica. C’e una dichiarazione dello stesso Costello in merito a questo argomento: “Ho passato molto tempo a leggere i giornali musicali, conoscevo sin dall’inizio le trappole di un sound di maniera, dal punto di vista musicale ero davvero convinto che bisognasse cambiare sempre”. La sua frase richama in parte un vecchio principio espresso molti anni fa dal grandissimo David Bowie (“__se una cosa funziona, buttala”) e fa vagamente ricordare la logica spietata, o apparentemente tale, di altri notevoli artisti come Chuck Berry e Paul Simon. Cuore e cervello. Pragmatismo e spirito di dedizione accompagnano Costello sin da ragazzo. La sua educazione musicale si forma con schemi di riferimento molto presci e tutti americani: il jazz, la musica country, Joni Mitchell, The Band e una predilezione particolare pre Graham Parson e Van Morrison. Questo gusto gli deriva dal padre Ross che ha suonato la tromba e cantato nell’orchestra di Joe Loss (più o meno la controfigura inglese di Glenn Miller e persino dal nonno, un nord-irlandese emigrato negli Stati Uniti nel 1916 che diventerà uno dei personaggi dell’album “King Of America”.
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