Ciao 2001, September 19, 1982

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Ciao 2001

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Elvis Costello: Non è più arrabbiato


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   William Donati

“Penso che sia tempo di parlare. Faccio dischi da cinque anni e per certe cose ci vogliono spiegazioni. Prima non ero propenso a sciogliere enigmi; sentivo chi il mio impact (forza d’urto, forte influsso) sarebbe diminuito, so lo avessi continuamente rettificato quello che c’era nella mia musica. Inoltre, lavoravo con tale ritmo furioso, che non c’era proprio tempo per le interviste, ed anche perché non credevo che la mia opinione venisse considerata così importante”.

E’ Elvis Costello, una delle più enigmatiche figure del rock moderno, che finalmente concede, appunto una intervista. Non è più un angry young man. In questo Costello segue pedissequamente la routine degli altri suoi colleghi di battaglia; glì anni aumentano, le vendite discografiche diminuiscono e gli artisti rock escono dalla torre del silenzio e si mettono a parlare.

Elvis Costello, l’oriundo italiano nato in Inghilterra, oltre che essere stato poco disposto agli incontri con la stampa, non corteggiava mai le stazioni radio, né si curava molto del suo stesso pubblico al quale a volte donava soltanto quaranta minuti del suo prezioso tempo, e non un secondo – nonostante le proteste – di più.

Aria strafottente, capelli corti (da lui portati prima dell’era punk), espressione da impiegato cui mancano solo le mezzemaniche, Elvis Costello è appena uscito sul mercato con un nuovo album, “Camera da letto Imperiale”, che è più melodico, più soffice di ogni suo precedente lavoro.

“Fanatico”, è l’espressione romana che meglio descrive il Costello di ieri. “Uno che ha il coraggio in campo rock di chiamarsi Elvis, deve essere molto, ma molto forte”, commentò un esperto agli inzi della sua carriera. In un bar di Columbus (Ohio), una volta, Costello entrò in disputa da ubriachi contro un gruppo di musicisti neri, e li costrinse a lasciare il focale facendo un commentaccio razzista contro Ray Charles. L’’episodio venne poi esagerato al punto ch alcuni fans di Costello bruciarono in piazza i dischi del “negrofobo Elvis”. Costello, scosso e esasperato, interruppe il suo silenzio per scusarsi e riferire la sua opinione dell’accaduto. Dopodiché si ricucì di nuovo le labbra.

Ed ora, a Los Angeles, poi della press eravamo all’inizio un po’ imbarazzati, data la precedente freddezza di rapporti tra lui e la stampa. Invece è stato particolarmente cordiale e si è fatto fotografare con calma e pazienza.

D.: Che differenza c’ è tra l’Elvis Costello di oggi e quello di cinque anni fa?

Costello: “Sono sempre molto ambizioso. Non vedo alcuna ragione perché non dovremmo essere al Numero Uno della Chart, poiché io penso che siamo davvero una delle migliori band del momento; ma al tempo stesso non sono assetato di successo. Ho visto chiaramente dove tale mania ti può condurre. Ai tempi del mio album “Armed Forces”, in Inghilterra, eravamo l’equivalente della Human League di oggi. Al top, al massimo. A quel punto devi stare attentissimo a quello che scrivi e come lo scrivi, poiché il successo può bloccare i condotti dell’ispirazione che sono quelli del dubbio, della compassione, della sofferenza. Gente come gli ASIA vogliono disperatamente essere famosi: non necessariamente buoni, lo non ho mai voluto essere famoso se questo significava suonare musica che non mi placeva. Certo che vorrel fare un hit con qualche mio single; ma le radio a onde medie qui sono... incredibilmente orribili”.

D.: Si è mai pentito di usare il nome d’arte Elvis?

Costello: “Questa è stata una trovata del mio manager Jake Riviera. Penso che il nome Elvis sia stato un trucco commerciale per attrarre l’attenzione, quando uno fa passare tra le mani, nel negozio. I vari albums. No. Non me ne sono pentito. In verità non vi ho mai dedicato troppa attenzione, anche perché sapevo di non avere nulla in comune con Presley, e perciò nessuno poteva bollarmi di imitario”.

D.: Cosa accadde di preciso qualche anno fa all’Auditorium Civic di Santa Monica? Il suo famoso freakout? (agire anormale causa narcotici o, peggio, senza narcotici, come nel suo caso).

Costello: “Uhm! Brutti riccordi. Un mucchio di cose accadevano tutte insieme confondendomi. Fino a quel momento il nostro tour americano era stato un fiasco. Si, suonavamo davanti a sale mezze vuote. Le stazioni radio ci ignoravano. Poi, arrivati a Los Angeles, ecco l’Anfiteatro tutto pieno! Mi sembro troppo facile. Cominicial a preoccuparmi. Tutto questo, dico la folla e il resto, mi apparvero phony (falsi, superficiali, ipocriti); mi sembrò che il pubblico si fosse troppo presto convinto che noi eravamo il gruppo da vedere... per quella settimana. Ma se, millee miglia da li, non riuscivamo a fare un granello di successo, perché ora, di colpo, eravamo saliti a Dei a Los Angeles? Non riuscivo a digeririo. Mi sentil varemente freakout”.

Qualcuno chiede dell’altro incidente di Columbus (Ohio).

Costello: “Vorrei che il pubblico lo capisse una volta per sempre; ma ora, a forza di ripeterio, ho esaurito tutte le mie spiegazioni. Accanto al mio studio d’incisione c’era quello di Paul McCartney che incideva con Michael Jackson. Tutto andò bene finché qualcuno presentò Bruce Thomas, il mio bassista, a Michael. Allora scoppiarono gli insulti, continuazione della lite razzista avvenuta giorni prima nel bar. Io non ero presente. Mi scusai ancora una volta in pubblico. Niente da fare. Per molta gente, il nuovo episodio ere solo un’altra prova della mia bastardaggine”.

D.: L’immagine di “angry young man” crede che l’abbia alutato all’inizio la sua carriera?

Costello: “Non ne dubito. Tra l’altro ha rapprasentato anche uno scudo di protezione. Ha mantenuto il pubblico a dovuta distanza permettendo di muovermi liberamente. Ma quando sentil che tale immagine stava cominciando a prendere prevalenza sul vero me stesso, corsi ai ripari. Non penso che ci sia molta rabbia nell’album di quel momento “Get Happy”, e fui molto sorpreso e frustrato quando le recensioni del disco continuavano a parlare dell’”angry young man”.

D.: Il disco “Get Happy” ha marcato un suo notevole mutamento, sia come musica che personalità?

Costello: “Si. Ero molto cinico quando facemmo “Armed Forces”. L’album era impudente. E non mi piace nemmeno oggi. Probabilmente “Get Happy” è stato l’iniziale esorcismo di tutti i miei problemi. Anche senza l’accaduto di Columbus pensavo di ritirarmi per un po’ dalle scene. Cercavo solo una scusa. Tutto intorno a me era troppo intenso”.

D.: Quando dice “problemi” allude al consueti eccessi che generalmente si associano alle sregolatezze dell’esistenza di una stella-rock?

Costello: “Si, in parte. Ma odio le interviste tipo Pete Townshend. Avete letto quella recente sulla rivista “Rolling Stones”? E’ proprio disgustoso vedere come questi maudlin (svenevoli, lagrimosi) rockisti di mezza età si sentano continuamente giusti e virtuosi per avere finalmente “ritrovato se stessi”, o roba simile. Ma c’e un preciso interesse economico a fare questo. In riviste commercial come “People”, leggi queste cose tutti i giorni. Forse dovrei farlo anch’io. E’ un modo di divenire una sensazione internazionale”. Sorrisi

D.: Cosa lo ha particolarmente aiutato in quel periodo caotico?

Costello: “Il fatto veramente grande è che io amo mia moglie e mio figlio. Ad un certo punto ti rendi conto che hai responsabilità non solo verso te stesso, ma soprarttutto verso le persone care. E questo ti dà il coraggio di reagire”.

D.: Che può dirci del nuovo album?

Costello: “Avevo deciso di fare ancora una volta qualcosa di nuovo. Volvevo esplorare strutture complicate; levare cioè riddure il beat del ritmo, così chi il pubblico potesse finalmente capire le parole. Non è escluso che l’idea del giovane arrabbiato derivasse anche del fatto che la gente non comprendeva le liriche”.

D.: C’è una tendenza nell’album, a prendere per modelli Cole Porter e Richard Rodgers. Il che significa che trova il rock una forma troppo limititiva?

Costello: “No. Certamente no. E’ che questa volta mi sentivo di accentuare la melodia anziché l’engergia”.

D.: Perché tanti cambiamenti? Temeva che il suo pubblico si fossilizzasse?

Costello: “Sono io che non voglio fossilizzarmi. Molti artisti-rock diventano ad un certo punto le caricature di se stessi, limitando le loro capacità. La loro musica, i loro concerti divengono forumle. Quando cominciammo, noi volevamo overpower (dominare, sopraffare) tutti. Ma anche quest’idea ha i suoi limiti. Non puoi andare avanti offrendo al pubblico per tutto il tempo, veleno”.


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Ciao 2001, September 19, 1982


William Donati interviews Elvis Costello.

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Photographer unknown.
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