Dagospia, May 30, 2016

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L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI ELVIS (COSTELLO) - DALLE SBORNIE DEL PADRE A QUELLA VOLTA CHE CHIESE A TOM WAITS DI ANDARE IN TV, DA PETE TOWNSHEND A SPRINGSTEEN: I RICORDI DEL PUNK CHE AMAVA LA CLASSICA -

Costello si racconta in un libro: “La decisione di scegliere il nome "Elvis" fu uno scherzo ideato dai miei manager per ottenere l'attenzione della gente abbastanza a lungo per far sedimentare le mie canzoni - A Springsteen disse che faceva troppo il romantico riguardo tutta quella faccenda “della strada”....

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   Dagospia

Estratti del libro “Musica infedele e inchiostro simpatico” di Elvis Costello pubblicati da “la Repubblica”

Alcuni dei miei primi ricordi sono mio padre che arriva a casa con un enorme animale di peluche sotto il braccio o un asinello di gesso dipinto che mi aveva promesso mi avrebbe portato da un tour in Irlanda. Ho invece una foto, ma nessun ricordo, di mia madre con me neonato sulla sabbia di Douglas, nell' isola di Man, dove mio padre era andato a suonare negli anni Cinquanta.

Nella foto mia mamma porta una collana di perle ed è truccata, ma di fatto non era una vita così brillante. I membri della band dovevano cambiarsi di continuo i vestiti sudati in camerini gelidi o troppo caldi o stavano schiacciati come sardine nei trasferimenti notturni su pullman pieni di spifferi lungo nebbiose strade statali e interstatali. Mi ricordo di una sera in cui mia madre mi aveva permesso di restare sveglio fino a tardi per guardare papà a Come Dancing.

All' epoca era un programma in diretta che non c' entrava niente con i finti provini alle celebrità. Era solo una gara tra squadre di ballo amatoriali, per cui sapevo che papà avrebbe avuto pochi momenti in cui cantare, ma era comunque una novità vederlo in televisione.

Quando la telecamera fece una panoramica verso il suo lato dell' orchestra, compresi dalla reazione di mia madre che qualcosa non andava. Il programma aveva aperto con i balli sudamericani, e mio padre era in piedi dietro le conga a suonare con molta più forza e animosità di quante ne richiedesse il pezzo. Mamma uscì dalla stanza per mettere il bollitore sul fuoco e in silenzio presi atto del suo sgomento per l' evidente ubriachezza di mio padre.

Non ricordo con esattezza quando fu che i miei si separarono. Non ci fu alcun nefasto annuncio della separazione e, se sì, l' ho completamente rimosso.

È il 1971. Radio Luxembourg sta trasmettendo un intero lato di After the Gold Rush. Il segnale va e viene sulla strofa iniziale di Tell Me Why; scompare e ritorna durante Only Love Can Break Your Heart. L' assolo di chitarra di Southern Man vacilla e crepita, come anche la fine di Till the Morning Comes. Non c' è da stupirsi che io non abbia mai imparato nessuna di queste canzoni come si deve. Sento infilare una chiave nella porta e mettere il bollitore sul fuoco. Adesso che siamo gli unici svegli in tutto il vicinato, ce ne restiamo seduti accanto alle braci di un fuoco morente.

Racconto a mio padre della canzone impegnata che ho cercato di cantare qualche ora prima in un club folk, ma è come se venissimo da due pianeti diversi. Quando parla, lui ricorre a gag e a un gergo tutti suoi; descrive le modeste pensioni per teatranti dove passa quasi tutte le sue notti come i suoi «alloggi».

La «doppietta» sta per due spettacoli in locali diversi nell' arco della stessa sera. La «tripletta » è ancora più tosta, ma grazie al cielo più rara. Racconta il destino di tutti quei numeri mancati o «voltafaccia», quelli che ti costringono a ingoiare l' affronto del venire «liquidato », ovvero dell' essere mandato via senza aver portato a termine l' ingaggio invece che lasciato alla mercé di una folla contrariata o ostile. Non è una vita facile.

Racconta le storie di personaggi assurdi e disperati che si aggrappano alle briciole di una qualche forma di notorietà: giovani cantanti impazienti, ventriloqui eccentrici e comici imbronciati, alcuni dei quali incarnano il cliché del clown triste, mentre altri diventano ubriaconi a caccia di rissa.

Lui non fa che vedersela con agenti e promoter che esercitano la loro futile autorità con malizia e una punta di invidia. Lo accompagno in un paio di occasioni per potervi assistere con i miei occhi. Niente di affascinante, ve lo garantisco. L' impianto audio di parecchi locali è rudimentale e gracchiante. Fanno poca differenza tra i cantanti raffinati e le grasse risa dei comici. È una sera d' estate a Blackpool, lassù nella vivace costa del Lancashire. In fondo al molo c' è un telescopio dal quale si riesce persino a scorgere… il mare.

Il bingo è l' unico gioco d' azzardo permesso da queste parti, e i pullman carichi di turisti ci si avventurano ancora per contemplare le luminarie, come ai tempi in cui l' energia elettrica era davvero una novità. La maggior parte dei bambini è già a letto, imbottita di acqua salata, bibite alla vaniglia, zucchero filato e patatine, ma stanotte io non mi limito a portare a spasso la custodia della tromba di mio padre. No, stavolta mi accomodo in mezzo all' orchestra.

Forse non saprò leggere la musica, ma almeno riesco a codificare i simboli degli accordi; e così, mio padre mi allunga una pila di spartiti che io sistemo diligentemente sul leggìo come ho visto fare a un sacco di musicisti sin da quando ero piccolo. Me ne sto seduto insieme a un' orchestra scettica dietro a un sipario abbassato, che armeggio per accordare la mia chitarra. Nonostante il vociare venga attutito dal tendone, i clienti sembrano assetati e irritabili, forse avranno avuto una giornata dura, forse l' avranno spesa a trascinare i loro bambini riottosi e scottati dal sole via dalla sabbia e fuori dalle sale giochi.

Mi becco un rimprovero dall' organista, che ha la faccia del colore della colla per la carta da parati. Il presentatore finisce di declamare i numeri del bingo, poi passa all' elenco delle esibizioni in arrivo e comincia a presentarci. Mio padre mi lancia un' ultima occhiata di incoraggiamento e controlla che io abbia sullo spartito la canzone giusta. So che è felice di avermi lì con lui, ma l' insistenza del suo sguardo dice anche: Questo non è un gioco, è il mio lavoro.

Proprio mentre i riflettori ci abbagliano, sento lo stridio da mal di mare di una pianola che scivola su un semitono, facendomi arenare come uno straniero sulla spiaggia. Fisso una pagina piena di giri di accordi e cerco di aggiustarli mentalmente mentre lascio correre le dita a un paio di millimetri sopra la tastiera.

Abbasso il mio volume al minimo e mimo l' intero spettacolo con un bel sorriso stampato in faccia. È l' introduzione perfetta alla mia vita nello show business. Da allora, quasi tutto non è stato altro che un' illusione.

La decisione di scegliere il nome "Elvis" fu uno scherzo ideato dai miei manager per ottenere l' attenzione della gente abbastanza a lungo per far sedimentare le mie canzoni, dal momento che il mio magnetismo animale e il mio look non avrebbero certamente assolto al compito. Di sicuro in giro c' era gente con nomi più ossimorici del mio.

Ma malgrado la risaputa spavalderia che regnava nel quartier generale della Stiff Records, c' è stato un breve momento in cui ci siamo interrogati se il mio impavido alias potesse sopravvivere mentre la gente si raccoglieva per la veglia funebre di Presley.

Che alternativa avevo? Scegliere un' altra identità misteriosa che suonasse simile se detta velocemente e non confondesse troppo i tipografi? Otis? Gesù? Be', quest' ultima ipotesi forse sarebbe stata esagerata.

Pete Townshend aveva l' aria alquanto belligerante. A quanto pare era l' unico membro del cast che si era categoricamente rifiutato di vestirsi da cretino, e dopo uno schietto scambio di opinioni, Paul e Linda (McCartney, ndr) salirono sul palco senza di lui.

Townshend si guardò intorno in cerca del suo road manager, che gli passò quella che sembrava una bottiglia di Rémy Martin. Io ero in piedi accanto a lui mentre strappava la capsula, toglieva il tappo e tracannò il sorso più lungo che mai vidi fare a un essere umano.

Con lo sguardo da pazzo e vestito sempre con il suo abito grigio sformato, raggiunse il resto della band sul palco. Jimmy Honeyman- Scott, che è un caro ragazzo con il cuore da fan, scelse incautamente di fare cenni con la chitarra in direzione di Townshend, in segno di incitamento. Pensai: Oh no, non farlo, lo farai incazzare e basta. Townshend reagì con una schitarrata di una ferocia tale che mi sorpresi gli fosse rimasta anche solo una corda.

Oserei dire che fu Bruce (Springsteen, ndr) a partecipare alla sua puntata di Spectacle (il tv show condotto da Costello su Channel 4 tra il 2008 e il 2010, ndr) con più entusiasmo di qualunque altro ospite, tanto che dopo due ore di riprese stavamo ancora parlando degli inizi della sua carriera nei locali del Jersey. Fu così che finimmo per girare ben quattro ore di filmato, materiale sufficiente per due puntate.

Gli rinfrescai la memoria sul grande impatto che sortì il suo concerto per Darkness on the Edge of Town che vidi a Nashville nel '78. Mi rispose che si era avvicinato al suono dei Buzzcocks e di altre band inglesi perché qualcuno gli aveva fatto notare che faceva troppo il romantico riguardo tutta quella faccenda «della strada». «Chi te l' ha detto?» gli domandai. «Tu», replicò lui ridacchiando.

Quando invece Tom Waits si presentò a un mio concerto a Santa Rosa, sapevo in cuor mio che sarebbe stato riluttante ad accettare, eppure non potei fare a meno di chiederglielo, offrendogli di girare la puntata in qualsiasi teatro di suo gradimento. Nell' attimo stesso in cui pronunciai la parola «televisione », Tom indietreggiò di un passo e fece una faccia allarmata. Era come se avessi pescato un Taser dalla tasca e tenessi uno sprone per il bestiame nascosto nel cappotto. Aveva un' aria così scossa che mi pentii subito di avergli fatto una richiesta del genere.

Comunque alla fine facemmo venti puntate. La gente ne sembrava genuinamente entusiasta, potevo trovarmi in coda al supermercato a Vancouver West e le persone dall' aria più improbabile venivano a dirmi quanto si erano godute la mia chiacchierata con Lou Reed. Io ne ero francamente stupefatto. Ma a quell' epoca non guardavo molto i tv show. ( Traduzione di Tiziana Lo Porto)


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Dagospia, May 30, 2016


Dagospia publishes extracts from Musica infedele e inchiostro simpatico - the Italian language translation of Unfaithful Music & Disappearing Ink. These extracts also appeared in La Repubblica.

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Musica infedele e inchiostro simpatico cover.jpg

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