Music (Italy), July 1982

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È sempre rock 'n' roll

40 ma non li dimostrano

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   Fabio Nosotti

C'è tutta una generazione di quarantenni inglesi che fa rock 'n' roll quasi tradizionale. Eredi naturali di Buddy Holly, Gene Vincent & c, alcuni procedono sulla stessa strada da tempo, altri inventano nuove vie. Piccola panoramica di

Molti artisti durante la loro carriera musicale cercano di diventare leggenda, ma pochi sono quelli che realmente entrano a far parte di questo olimpo ristretto. Alcuni membri di questo "club esclusivo" devono certamente essere Dave Edmunds, Graham Parker, Nick Lowe, Brinsley Schwarz, Elvis Costello e pochi altri, quei musicisti che gli inglesi chiamano "The Pub Rock afterglow", ovvero gli ultimi bagliori od i figliastri del movimento pub rock.

Se il Pub rock accomunò nei settanta tutte quelle bande e quei cani randagi forgiatisi all'interno dei piccoli clubs, una specie di revival del fenomeno americano delle garage bands, negli ottanta quei vecchi marpioni che hanno saputo resistere alle tentazioni od agli scossoni del new-wave sound sono oggi divenuti piccole leggende viventi. Strano a dirsi, tutti questi musicisti hanno oggi raggiunto la quarantina e visto che non esiste più un movimento ben preciso atto a raccoglierli nel loro insieme, l'unico baluardo unificatore rimane il rock 'n' roll, una vecchia passione con molti compleanni sulle spalle da difendere strenuamente. Ecco che i vari Edmunds, Parker, Lowe e compagnia ne inventano una nuova ogni anno, e, nonostante siano vicini alla quarantina, on the road da almeno due decadi, continuano imperterriti a macinare note su note, con la grinta di sempre, con, cosa più incredibile, il pubblico di sempre, un pubblico permeato dai ricambi di gusto generazionali, arricchito da innesti continui, abbagliato dal vecchio rock 'n' roll che i nostri eseguono con tanto ardore e passione.

Per capire meglio questo fenomeno quasi magico e leggendario, abbiamo captato alcuni punti di vista di questi randagi d'Europa e d'America, girovagando qua e là per toccare con mano lo stato di salute dei nostri protagonisti. L'aspetto più bello di questa linea verde con quarant'anni appresso è il fatto di suonare rock 'n' roll per puro divertimento: se Joan Jett, una delle teen-ager, più in voga, oggi canta “I love rock ‘n’ roll”, lo deve un tantino anche a questi simpatici vecchietti.

La storia di Dave Edmunds coincide con quindici anni di rock’n’roll, costellata de nnumerevoli episodi che richiederebbero quasi un libro per essere reccontati. A grandi linee, le tappe più importanti di Dave si identificano agli esordi con una band di rock blues di nome Love Sculpture (due albums per la Decca) e poi con una carriera solistica, nell’arco della quale Edmunds ha inciso sei albums. Accanto a ciò, vi sono l’esperienza con il grande amico Nick Lowe, denominata Rockpile (un lp e parecchie live performances), ed un assiduo lavoro in fase di produzione (Shakin Stevens, Flamin Groovies e Stray Cats i nomi più asltisonanti), unitamente a quello svolto all’interno del label indipendente Stiff. Abbiamo incontrato Dave Edmunds di recente, in quel di Zurigo, dopo un concerto a dir poco entusiasmente, in cui Dave ha presentato vecchi pezzi ed alcuni del suo ultimo lavoro “DE7”. La conversazione cade subito sullo spinoso argomento Rockpile: “I Rockpile nacquero per caso; io avevo un contratto discografico, Nick Lowe ne aveva un altro, entrambi come artisti solisti, e quindi sentivamo l’esigenza di formare una band, i Rockpile per l’appunto. L’errore consistette nel fatto che non riuscimmo a fondere le nostre due personalità all’interno della band, non riuscimmo, ad immettere altri ingredienti che non fossero caratteristiche peculiari mie o di Nick. L’album dei Rockpile ere grande, i nostri concerti pure, ma la cosa curiosa fu che io produssi le canzoni che cantavo e Nick fece la medesima cosa. Non siamo riusciti ad agire all’interno di una band e per questo i Rockpile si sono sciolti, poiché ci sembrava assurdo proporci come gruppo, quando invece eravamo due solisti che agivamo assieme all’interno di un gruppo, senza creare qualcosa di veramente nuovo e produttivo che si differenziasse dalle prerogative delle nostre due carriere solistiche”.

Riguardo al fatto che un artista come Edmunds suoni principalmente per puro divertimento Dave ha dichiarato: “Mi diverto molto di più oggi di alcuni anni fa. C’è stato un periodo dal ’69 al ’75, in cui ebbi una crisi d’identità, perché pensavo di non rendere sul palco, di non riuscire a dare nulla al mio pubblico; poi, con i Rockpile, mi convinsi delle mie possibilità e con la band che ho attualmente è fantastico suonare rock’n’roll”. Punzecchiando Dave Edmunds sul vivo della questione, ovvero perché questi quarantenni abbiano ancora così tanto fascino, vengono fuori cose interessanti: “Il mio approccio alla musica negli anni non è affatto cambiato, poiché ancora oggi prendo il rock’n’roll come cosa genuina. Il fatto che il pubblico ami e continui ad amare gente come me, Nick Lowe or Graham Parker è in parte casuale, in parte normale, perché io e Nick abbiamo sempre dato al pubblico qualcosa che ama, vecchi hits dei sixties e dei fifties che piacciono sempre; che poi io abbia raggiunto più volte le charts inglesi, questa, a mio avviso, è solo fortuna, in quanto in un paese come l’Inghilterra, ove tutto cambia così velocemente, tu puoi avere alcuni hits in vari periodi di tempo od averne tre or quattro nello stesso periodo e poi sparire inesorabilmente. Per quanto riguarda la mia collaborazione con la Stiff, giudico positiva ogni tipo di iniziativa delle labels cosidette indipendenti, sono state quelle che hanno diffuso il rock’n’roll in America.

Dave Edmunds è un musicista integro e puro e la musica del suo ultimo lavoro “DE7”, conferma questa impressione. Accanto a vecchi classici, a rock’n’roll fuoriusciti dalla sua penna felice, vi è pure un brano, “from small things, big things come” scritto dall’idolo degli anni ottanta, Bruce Springsteen. Dave racconta come nacque questa singolare collaborazione: “Un mio amico, un disc-jockey che lavora alla Capitol radio di Londra mi diede due biglietti, per me e mia moglie, pre uno dei concerti che Bruce tenne l’anno scorso al Wembley Stadium. Non ero un fanatico di Bruce, ma quando vidi lo show, ne fui subito entusiasta, una delle cose migliori che abbia mai visto in vita mia. Ero nell’area riservata alla stampa ed alla fine del concerto i due managers di Springsteen mi dissero che Bruce voleva vedermi. Lo incontrai nel camerino, parlai con lui per circa un’ora, e poi Bruce mi disse che aveva una conzone per me; me la fec sentire ed in seguito mi mandò un “demo tape” da cui io trassi la versione presente sul mio ultimo lp”. Salutando Edmunds, afferriamo pure un suo parere sull’amico/nemico Nick Lowe: “Penso che Nick abbia sempre rappresentato la parte più melodica del rock’n’roll, mentre io quella più grintosa”.

Se Dave Edmunds è cosi in forma, pure l’amico Nick Lowe non sta certo a guardare. Nick Lowe ha da poco realizzato la sua ultima fatica “Nick the Knife” ed ora sta portando a termine la sua tournée europea, quasi in contemporanea con quella di Edmunds, un altro flebile parallelo tra i due heroes dopo l’incontro ravvicinato chiamato Rockpile. Già alcune caratteristiche peculiari di Lowe sono venute fuori dall’amichevole chiacchierata con Edmunds. La storia di Nick Lowe è una storia davvero cruciale per tutto l’evolversi di quel tipo di rock inglese di cul stiamo parlando. Lowe è pure un tramite tra il colosso Edmunds e gli altri personaggi che andremo a conoscere in seguito, mr. Elvis Costello, mr. Graham Parker e mr. Brinsley Schwarz. Già nei primi anni 70’ Nick Lowe è al centro dell’attenzione, quale pilone portante della band del chitarrista Brinsley Schwartz. Scioltosi questo gruppo nei ’75, Lowe si dà un gran da fare come produttore e, dopo aver scoperto Frankie Miller, produce per l’appunto Dr. Feelgood ed i Kursaal Flyers. Nel ’77 esordisce poi discograficamente con l’ep “Bowi” per la Stiff, scopre Elvis Costello, continua a collaborare con Parker, con i Rumour, Dr. Feelgood, produce “Get it” di Dave Edmunds. Il suo primo vinile a trentaré giri si chiama “Jesus of cool” (’78), il secondo “Labour of lust” (’79), poi vi è la celebrazione con i Rockpile (lp intitolato “Seconds of pleasure”) ed infine, l’incisione del recentissimo “Nick the knife”.

Definito da Melody Maker “the last pop genius”, ovvero l’ultimo genio del pop, Nick Lowe può ben dire di portarsi addosso questa etichetta senza imbarazzo particolare. “Nick the knife”, terzo lp di Nick dal titolo spiritoso (parodia di “Mack the knife” tratto da “L’opera de tre soldi” di Kurt Weill), è un sunto squisito delle capacità pop melodiche del musicista. Lowe è uno che ha guardato dalla finestra gente come i Creedence Clearwater R., i Kinsk, gli Who, i Troggs, gli Yardbirds, ne ha captato lo spirito ed ha inventato una pelle musicale adatta per tutti i gusti. Ad una passione incontrollata per il rock’n’roll e per sixties (basta guardare la cover di “Nick the knife”), Lowe ha unito un attento studio dei fenomeni musicali degli ultimi anni, quali il reggae e la new-wave. Basta ascoltare alcune canzoni come “Heart”, “Burning”, “Couldn’t love you”, per captare la grandezza e la genialità di questo quarantenne. Di certo, Nick Lowe è uno dei musicisti che ha suonato, ha collaborato, ha conosciuto più di ogni altro personaggi e costumi del mondo musicale.

Dei suoi colleghi, specie di quelli con cui ha lavorato, Nick Lowe parla spesso e volentieri: “Dave Edmunds è stato per me più di un amico, ed è talmente passionale e grintoso nei riguardi del rock’n’roll che, se non conoscessi le origini del rock, sarei pronto a considerario l’inventore. Graham Parker è un animale da palconscenico, uno che dà tutto se stesso, riuscendo a creare un vero e proprio tramite con il pubblico: Elvis Costello aveva solo bisogno di credere nei suoi mezzi, di trovare fiducia: quando lo ha fatto, nessuno lo ha più fermato”.

Se Nick Lowe è uno che ha dato molto al rock inglese ed internazionale, Graham Parker, in un certo modo una scoperta di Nick, non gli è da meno. Tutto nervi e grinta, Parker, dopo aver inciso “Another grey area”, settimo album della serie ed il primo senza i fidati Rumour, sta conducendo una tourneé americana che sfocerà in quella europea tra giugno e luglio. Passato in Italia poco tempo fa, Graham Parker ha potuto spiegarci alcuni momenti della sua lunga carriera ed, in special modo, che cosa significhi, per uno come lui, non più giovanissimo, fare musica nel 1980.

- Perché hai lasciato i Rumour, una band che, raccolta l’eredità di Brinsley Schwartz, ti aveva supportato così bene sino ad oggi?

- Dopo sei, sette dischi fatti con i Rumour era tempo di cambiare. Quando feci l’ultima tourneé con i Rumour, dopo l’incisione di “The up Escalator”, era diventato per me molto difficile suonare con questa band, perché eravamo assieme da troppo tempo, e non si riusciva a creare nulla che non si fosse già fatto prima. Avevo troppo bisogno di cambiare, di rinnovarmi: d’altronde io sono un artista solista, non posso avere la stessa band per sempre.

Con “Another grey area” hai cambiato produttore, hai cambiato stile musicale. Cosa mi puoi dire al proposito?

- Ho cambiato produttore molte volte, perché non ero mai rimasto pienamente soddisfatto dai miei dischi ed inoltre non volevo rifare le stesse cose, non volevo ripetermi. Ogni produttore ha uno stile ben preciso e, volente o nolente, ti influenza, anche se in minima parte. Ho scelto Jack Douglas, perché aveva produtto un album che amavo molto, “Double fantasy” di John Lennon e Yoko Ono, ma, probabilmente, già con il prossimo lp cambierò nuovamente, per provare qualcose di differente. Il mio stile è cambiato, ma ciò è stato fortemente voluto, come voluta e mia è stata la scelta di Nicky Hopkins al piano un vecchio amico; per questo nuovo album avevo scritto tre o quattro pezzi, in cui la caratteristica peculiare doveva essere il piano e cosi ho voluto Nicky, uno della mia generazione, perché solo lui può fare e sentire certe cose.

- Quindi i quarantenni sembrano farla da padroni...
- Sicuramente. Vedi, musicalmente parlando, io ho bisogno di determinate sensazioni sia dal pubblico che dalla musica che eseguo. Ho sempre rifiutato di essere codifacto in un preciso movimento come poteva essere il pub rock, anche se i Rumour venivano dal cosiddetto pub rock, perché io scrivo canzoni indipendentemente dalle mode o da un certo tipo di gusto più in voga di un altro in quel preciso momento. Ho scelto, come ho già detto, Nicky Hopkins, uno non certo di primo pelo, poiché poteva assicurarmi determinate situazioni, cosi come ho voluto Brinsley Schwartz per le “live performances” che sto per affrontare, perché lo reputo uno dei migliori musicisti in circolazione oggi, specialmente per i concerti dal vivo.



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Tags: Dave EdmundsGraham ParkerNick LoweBrinsley SchwarzBuddy HollyThe Pub Rock afterglowRockpileShakin' StevensStray CatsStiffBruce Springsteen

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Music (Italy), No. 39, July-August 1982


Fabio Nosotti writes about Pub Rock, including Brinsley Schwarz, Nick Lowe, Elvis Costello, Graham Parker, Dave Edmunds and others.

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Cover.
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Tanto per farsi un’idea


  • Elvis Costello

My aim is true (Stiff 1977)
Armed force (Radar 1979)
Get Happy (F-Beat 1980)
Trust (F-Beat 1981)

  • Graham Parker

Howlin’ Wind (Vertigo 1976)
Stick to me (Vertigo 1977)
Parkerilla (Vertigo 1979)
The up escalator (Rca 1980)
Another slide area (Rca 1982)

  • Brinsley Schwartz

Despite it all (United Artist 1970)
Silver pistol (United Artist 1972)
Nervous on the road (United Artist 1972)

  • Nick Lowe

Labour of lust (Radar 1979)
Nick the knife (Radar 1982)

  • Dave Edmunds

Repeat when necessary (Swan Song 1979)
Tyangin’ (Swan Song 1981)
DE7 (Arista 1982)

  • Rockpile

Seconds of pleasure (F-Beat/Columbia 1980)


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Magazine scans thanks to Fulvio Fiore.

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