TomTomRock, January 27, 2022

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Recensione: Elvis Costello & The Imposters – The Boy Named If

Un Elvis Costello in versione rock per The Boy Named If.

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   Renzo Nelli

Elvis Costello The Boy Named If
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Dopo un quarantennio abbondante di attività frenetica, che lo ha visto pubblicare una media di quasi un disco all’anno dal 1977 al 2010, e un periodo di pressoché totale silenzio dal 2010 al 2018 Elvis Costello sembra essere tornato a dare una certa regolarità alla sua produzione con un disco ogni due anni circa. Ormai da molto tempo ogni uscita dell’eclettico musicista inglese è accompagnata da una certa curiosità. Non si sa mai cosa aspettarsi da uno che ha attraversato quasi tutti i “generi” musicali dell’ultimo cinquantennio: dal rock al punk, dal pop alla new wave, dal r ‘n’ b al soul e chi più ne ha più ne metta, passando per il country e senza dimenticare il jazz. E senza contare le sue numerose ed altrettanto eclettiche collaborazioni: da quella con il mito dell’American songbook Burt Bacharach alla mezzosoprano svedese Anne Sofie von Otter, per finire con la pianista jazz Marian McPartland. Quindi la domanda è: quale Costello troviamo in questa sua ultima fatica? La risposta, visto il soggetto, non può non essere abbastanza articolata. Accompagnato dai fidi Attractions, ormai diventati da anni Imposters, Elvis sembra al primo ascolto essere tornato al suono delle origini, un rock – meglio, un rock ‘n roll – venato di punk e di new wave.

Un disco ricco di influenze
In questa direzione sembra andare il brano iniziale, Farewell, OK, che fin dalle battute iniziali richiama esplicitamente il rock ‘ roll degli albori. Ma già il brano successivo, l’eponimo A Boy Named If, vira verso un rock appena appena più “oscuro”. Da qui parte una di quelle sarabande musicali alle quali Declan MacManus ci ha da decenni abituato. Da pezzi più marcatamente pop-rock come Penelope Halfpenny e The Difference ad altri come What If I Can’t Give You Anything But Love e Mistook Me For A Friend, che richiamano in maniera abbastanza esplicita il Bowie del periodo glam rock, con le tastiere che tendono a scalzare le chitarre dal ruolo di protagoniste. In questi brani Costello sembra anche “modellare” la voce sulla scia del Duca Bianco. Paint The Red Rose è il primo pezzo lento, poi “ripreso” in qualche modo anche dalla conclusiva Mr. Crescent. Entrambi i brani presentano sonorità quasi “alla Tindersticks”, anche se ovviamente privi dell’atmosfera particolare che a questi ultimi conferisce la voce di Stuart Staples.

The Man You Love To Hate esordisce con un attacco quasi beatlesiano, mentre con Magnificent Hurt e con The Death Of Magic Thinking si torna al rock più “esplicito” con basso e batteria martellanti – nella seconda le percussioni hanno perfino un che di “tribale” – contrappuntati dall’organo Hammond. Finiamo col citare Trick Out The Truth, che sembra uscita dalla penna dell’ultimo Randy Newman, con più di una strizzatina d’occhio a Burt Bacharach.

The Boy Named If mostra un Elvis Costello in ottima forma
Ciò detto, così il lettore potrebbe avere anche l’impressione di un guazzabuglio informe e difficilmente ascoltabile, ma non è affatto così. In realtà le influenze fin qui dichiarate sono presenti in tutti i brani, anche se in misure diverse dall’uno all’altro, e Costello è ormai da decenni abituato a miscelarle sapientemente in uno stile tanto unico quanto unitario: aiutato anche dalla sua caratteristica voce un po’ nasale che costituisce il suo marchio di fabbrica. Insomma, dopo quasi quarantacinque anni di attività e rigenerato da un periodo di relativa inattività che sembra essergli servito a ricaricare le pile, Elvis Costello ci pare più vivo che mai.


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Renzo Nelli reviews The Boy Named If.

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The Boy Named If album cover.jpg

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