Internazionale, September 29, 2017

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La mia musica


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  Nick Hornby

Prima di cominciare, mi viene in mente che tra voi potrebbero esserci alcuni lettori pericolosamente colti, o anche solo fastidiosamente giovani, che non sanno chi è Sam Phillips. Be’, sappiate che questa pagina non fa per voi. Via di qui! C’è un sacco di roba da leggere altrove! E chiudete la porta quando uscite! Grazie. Bene. Così va meglio. Pensare è più facile quando haì tolto di mezzo i perditempo.

Fin dale prima pagine della monumentale biografia che Peter Guralnick ha dedicato a Sam Phillips sono rimasto colpito da quanto la storia mi suonasse familiare: la chiesa battista, le umili origini, l’impossibilità di proseguire gli studi, la cultura del duro lavoro, la passione per qualcosa – nelle storie americane spesso è la musica – in grado di sollevare il protagonist e trasportarlo altrove, per depositarlo in una ambiente decisamente più affascinante. Non mi lament del fatto che la storia mi suoni familiar: questo tipo di roba è sempre appassionante da leggere. Peter Guralnick, che ha scritto biografie altrettanto autorevoli di Sam Cooke e, com’è noto, di Elvis Presley, da queste parti è di casa (viene da chiedersi se a 14 anni Peter Guralnick, un ragazzino ebreo cresciuto a Boston – e lo so che ho scritto. “Peter Guralnick” due volte in due righe, ma mi sembrebbe strano riferisi a un quattordicenne con il solo cognomen – avrebbe mai immaginato quanta parte della vita adulta avrebbe dedicato alla chiesa battista del sud degli Stati Uniti).

In realtà, anche un sacco di altra gente è di casa da queste parti. La maggior parte delle biografie che ho letto, e certamente quelle che mi sono rimaste più impresse, raccontano version diverse della stressa storia. E la ragione è semplice: i più grandi artisti di lingua inglese sono cresciuti senza un soldo. Non è incredibilie? Facciamo un gioco. Ditemi i nomi di quelli che secondo voi sono I tre migliori artisti, britannico o nord-americani, mai usciti dalla media borghesia e dale scuole private, e io vi dirò i miei tre che invece sono cresciuti senza niente di tutto questo. Pronti, partenza, via! Ovvivo che a questo punto devo rispondere io al posto Vostro: questa è una rivista non un bar, e comunque sto scrivendo questo pezzo nel Maggio del 2017 mentre voi probabilmente lo starete leggendo seduti sulla tazza del gabinetto di un amico nel maggio del 2022. Ma giuro che m’impegnerò al Massimo per voi. Che ne dite di Virginia Woolf, Francis Scott Fitzgerald e Byron? La scelta vi convince? Dovrebbe. Non c’è assolutamente niente che non vada in nessuno di loro, effetivamente. Peccato che i miei tre migliori siano Dickens, Chaplin e Louis Armstrong, o Elvis, or Marvin Gaye, o Muddy Waters, o… Communque, ho vinto io. E vincerei sempre. Potrei sceglierne ogni volta tre diversi e vi batterei communque, chiunque fossero i vostri migliori tre.

“Però cosi non vale”, starete pensando. “Tu ne hai milioni più di noi tra cul scegliere”. E io vi rispondo: “Però la minoranza privilegiata ha la meglio in ogni altro campo: studi, affari, legge, tutto. Nonè fantastico che in questo caso perda? Piantatela di lamentarvi, mocciosi viziati che non siete altro”. A dire il vero quest’ultima parte proba bilmente è ingiusta, visto che non viconosco e che non avete chiesto voi di rappresentare la squadra dei signori. Vi ho obbligato io.

Ma Sam Phillips era un artista? Diciamodi si, tanto perevitare che il pa ragrafo precedente risulti inutile. Era un produttore discografico superlativo: c’è gente che con tinua a spendere una fortuna per ricreare il suono che Phillips riusciva a ottenere senza spendere un soldo. Era un grande scopritore di talenti, un imprenditore, uno che credeva fermamente nel talento innato di quelli di cul non sentiamo - o almeno non sentivamo - mai la voce, un agitatore sociale, un uomo politicamente impegnato: prima di cominciare a incidere le voci degli hillbilly bianchi del sud, voleva a tutti i costi che la gente ascoltasse I musicisti blues. Tra questi c’era Howlin’ Wolf, che quando aveva poco più di vent’anni capitò nel minuscolo studio che Sam si era costruito a Memphis, all’angolo tra Union e Marshall. Non vendette un solo disco. Si deve a Phillips la prima incisione di Rocket 88 di Ike Turner, nel 1951, che però uscì per l’etichetta Chess.

Ma fu solo quando Elvis Presley, come tutti sanno (e quando dico tutti intendo dire tutti), mise piede in quello studio per registrare un disco “privato” da quattro dollari da regalare per ricordo a sua madre, che quel posto cominciò a sembrare qualcosa di diverso dal progetto di un folle ottimista. Presley tomò nello studio di Phillips il 26 giugno 1954: nelle due settima ne successive il suo primo disco diventò un successo.

Questo scatenò un’ondata apparentemente inarrestabile e dopo appena tre anni Phillips aveva già inciso dischi di Carl Perkins e Jerry Lee Lewis, Roy Orbison e Johnny Cash, Blue suede shoes, Great balls of fire, I walk the line e Ooby dooby. Non c’è presidente degli Stati Uniti, docente universitario o banchiere vivente che non sia in grado di cantarne almeno una. O almeno non dovrebbe esserci. Charlie Rich arrivò un paio d’anni dopo. Phillips li mise tutti sotto contralto e se li vide soffiare dalle grandi case discografiche, e produs se anche i dischi di HardrockGunter, Buddy Cunningham e le Miller Sisters, Howard Serat t e Doug Poindexter, i Ripley Cotton Choppers e Bill Pinky and The Turks. Il suo fiutolo tradi più di una volta, ma il successo non era la cosa più importante: la cosa più importante era il sound del sud degli Stati Uniti.

All’inizio degli anni sessanta, Phillips aveva già esaurito il suo interesse perla Sun Records. La vendette nel 1969, e poi visse fino al 2OO3. Il percorso eccentrico della sua vita rappresenta una sfida che Guralnick affronta con mano esperta. Su un totale di ottocento pagine del libro, le ultime duecento coprono un arco di tempo di circa quarant’anni, e ii rapporto personaje che Guralnickcostruisce con Phillips nell’ultimo ven tenniogli offre la possibilità di guardare le cose da una prospettiva diversa.

Comunque, quella di Phillips è una vita cosi singolare che ti viene voglia di seguirlo qualunque cosa faccia. Le sue scelte di vita personali furono ambiziose quanto la sua visione musicale: una moglie che fece soffrire a lungo, un’amante che fece soffrire altrettanto a lungo e che diventò di fatto una moglie parallela, e in seguito un’amante piû giovane e più convenzionale. Ma anche come genitore fu decisamente insolito, ovviamente (tra le tante storie su Johnny Cash ed Elvis, nel libro spunta anche il racconto piuttosto straordina rio della breve carriera da lottatore nano del figlio di Phillips, Jerry. In realtà era solo un dodicenne, non un nano, ma nessuno sembrò farci caso fino a quando a Twist, in Arkansas, un tipo si fece largo trata folla con un coltello in mano e due occhi da pazzo, e la madre del bambino decise che ne aveva abbastanza). E un libro enorme ed enormemente divertente che riguarda un periodo importante della storia culturale americana, ma se siete arrivati a leggere fin qui probabilmente l’avevate già capito.

Elvis Costello è nato, come la carriera di Presley, nell’estate del 1954 e non ha cominciato a incidere dischi fino al 1976, vent’anni dopo il primo singolo di Roy Orbison. Quell’arco di tempo, però, è stato coperto dal padre di Costello, Ross MacManus. Ross era il cantante della Joe Loss Orchestra, un grande complesso musicale che era onnipresente nell’intrattenimento leggero del Regno Unito. Se eri un adolescente negli anni sessanta, Joe Loss era il tuo nemico, perché ogni minuto in cui la sua orchestra suonava, alla tv o alla radio, era un minuto in cui non ascoltavi qualcosa di più forte, più veloce e più figo (Joe Loss e, quindi, il padre di Elvis Costello erano tra gli artisti in programma la sera in cui John Lennon disse agli aristocratici seduti in unpalco del Prince o Wales theatre che, se non volevano non potevano baterre mani, potevano far tintinnare i gioielli). In Musica infedele & inchiostro simpatico, l'ampia, avvincente, soprendente e mera Vigliosa autobigrafia di Costello, non ci sono nemici musicali: c’è solo musica, decenni di musica.

Date un'occhiata a questi nomi: Paul McCartney, Burt Bacharach, Chet Baker gli Specials,i Pogues, Allen Toussaint, George Jones, Bob Dylan. T Bone Burnett, Yoko Ono, ¡ Roots, Nick Lowe, Aimee Mann, Johnny Cash...Mi fermo qui. Compaiono in Musica Infidele & inchiostro simpatico non solo perché in qual che modo rappresentano une sorta di concentrato di storia della musica pop del dopoguerra, ma perché Costello ha lavorato a vario titolo con loroc ha scritto per loro o li ha seguiti in tour li ha prodotti o neè stato prodotto o cí ha fatto un album insieme. Anche se nel resto del libro non ci fosse nient 'altro che v'interessa - e potrebbe succedere solo se non v'interessano la creatività, le relazioni tra genitori e figli, le dinamiche interne alle band, gli anni settanta, gli anni ottanta, la Musica country, Il Regno Unito, gli Stati Uniti o l'amore - i racconti delle collaborazioni successive saranno più chesufficienti per andare avanti. "Una cosa cheho Imparato, scrivendo con Paul,è che una volta stabilita una linea melodica, non avrebbe mai acettato di allungare la linea ritmica per far tornareuna rima.” Osservare Burt dirigerre gli ottoni è uno dei miei ricordi preferiti di quelle sedute di registrazione. Aveva un senso del fraseffio così particolare che non è possibile renderlo pienamente sulla pagina scritta. Burt spro fondava sempre di più nella sua poltrona mentre cantava e ricantava le frasi di flicorno soprano facendo piccolissimi finché i musicisti non diventavano la sua stessa voce".




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Internazionale, Numero 1224, September 29, 2017


Nick Hornby writes about three musical biographies, including Musica infedele e inchiostro simpatico the Italian language title for Unfaithful Music & Disappearing Ink.

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