Elvis Costello ce l’ha fatta. Adesso niente al mondo potrebbe farlo scendere dal suo trono dorato di nuovo re del rock’n’roll. Attraverso una parabola ascendente veloce come poche è giunto a quello stato di grazia in cui critici e pubblico non possono che stendere tappeti ai suoi piedi. Elvis è ormai l'incarnazione della rock star intelligente, nel comporre, nel rifare e soprattutto nel vendere. Si chiama, in realta, Declan
McManus e non è difficile comprendere perché abbia cambiato un nome che al massimo suggerisce castelli scozzesi, cornamuse e kilt. Come poter sfondare nel rock'n'roll con un nome simile? Meglio appiopparsene uno che renda già il personaggio. Ecco allora Elvis, astuto omaggio al re leggendario, e poi Costello, che tanto richiama alla mente immagini di un'America popolata di gangsters e belle pupe, ma anche pizzerie e drìve-ins con cameriere su pattini.
Il look, ovvero l'immagine, è presto fatto. Un paio di occhiali fuori moda, un corto ciuffo dritto sulla testa, un completino striminzito e una cravatta altrettanto sottile; quando esordl molti pensarono ad un fratello minore di Buddy Holly, e la rassomiglianza è davvero notevole. Si era in pieno 1977 e Costello aveva a che fare con uno dei periodi più intensi della storia del rock: Tra il fischiare delle pallottole punk e le trame tessute dalla nascente new wave, probabilmente avrebbe tardato di parecchio ad affermarsi. Invece, alla influenza di un rock'n'roller di classe come Graham Parker, unì la fortuna di incappare in Nick Lowe, vecchia volpe della produzione rock britannica, che dopo anni nel dimenticatoio, era tornato in auge proprio allora.
Lowe firmò la produzione del disco d'esordio di Costello e la sua ombra ha continuato a seguire il musicista fino ad oggi. Ascoltando quel disco, My Aim is True, si afferra fino in fondo l'importanza di tale presenza, arginatrice della straripante forza del debuttante Elvis. Una vigorosa ventata dì nostalgie beate di fresche ed irruenti miscele di rock e rhythm'n'blues riempiva il disco.
Non ci volle molto a capire che quella di Costello era una proposta musicale fatta soprattutto di riferimenti evidenti ai mitici anni Sessanta, tanto di moda in questi giorni. Il disco fu un'ottima piattaforma di lancio per il successo, che arrivò di li a poco, sull'onda del revival dei Sixties e del secondo album, dal titolo significativo: This year's model (-Il modello di quest'anno-).
Quel fortunato ed intelligente album ci dà modo di fare il punto sulla musica di Élvis Costello. Della produzione abbiamo già detto, come anche delle influenze. Ma la sua musica non epura citazione: brani come The Beat o Pump it up, si direbbero di un rock impegnato che si diverte ad indossare la maschera del facile ascolto e della piacevolezza. A più di una sua canzone è difficile resistere, malgrado tutti i nostri dubbi e scetticismi; complice anche il suo gruppo, gli Attraction. Di un dinamismo raro, specie dal vivo sono maestri nel filtrare l'energia delle canzoni di Elvis nel classico quattro quarti del rock'n'roll. Sui dischi come nelle esibizioni live. Costello alterna irruenza e melodia, concentrando la forza della propria ispirazione nel tempo limite di tre minuti: regola saggiamente ripescata dalla miglior tradizione rock (ma qualche sera fa, a Londra, si è esibito in compagnia della Royal Albert Hall Philarmonique Orchestra al completo).
Cos'altro aggiungere: Costello è bravo e sarebbe stupido sostenere il contrario. Pure non riesce a convincerci del tutto.
Non ci si può dimenticare del suo voltafaccia politico: dalla partecipazione all'associazione Rock Against Racism (-Rock contro il razzismo-) a pubbliche prese di posizione di stampo decisamente reazionario. smaschera il suo opportunismo che è per noi una pillola difficile da deglutire. Inoltre, tra This Year's Model e l'ultimo disco corrono alcune prove che, sebbene equilibrate, rasentano la mediocrità.
Nell'81, ben sapendo di essere considerato la moderna conscienza della pop music, il nostro Elvis approda a Trust, probabilmente la sua opera migliore. Su Trust basterà annotare i due elementi più importanti: lo stile di Costello è giunto alla sua piena maturità, aggiungendo alla revisione di passati stili, la proposta di nuove idee; ma è soprattutto la voce ad essere maturata, espressiva e modulata su toni mai osati prima. Così tutto sembra perfettamente chiaro; un ragazzo dotato di buona intelligenza giunge al successo grazie alle proprie doti di compositore. Eppure, con la sua aria da saputello, l'occhio arguto dietro le lenti un po' scure, Costello ce l'ha fatta, come un bambino che è riuscito a rubare la marmellata sotto in nostri occhi.
Per Natale, infine, ci ha regalato Almost blue, un album interamente di country & western music, inciso, pensate un po', a Nashville, USA. Un prodotto confezionato a regola d’arte, con Elvis in piena forma e gli Attraction aumentati da John McFee dei Doobie Brothers alla steel guitar, Inoltre un produttore d'eccezione: Billy Sherrill, riconosciuta eminenza grigia della country music. L'album è composto da 12 famose cover versions, che Costello interpreta ponendoci sopra il proprio marchio. Parte dei brani tendono al genere honky-tonk da saloon, gli altri sono ballate. Sceglierne qualcuno è difficile, la voce di Elvis, ora schiamazzante ora lamentosa, conquista al primo ascolto. Cosa c'è dunque dietro quest'operazione? A change is not strange ("Un cambiamento non è cosa strana") dice lo slogan pubblicitario dell'album, e molti sono d'accordo nel ritenere che questo passo fosse prevedibile. Il filo che lega l'opera di Costello, al country sono le parole; in entrambi i casi l'argomento preferito è la vita quotidiana nei suoi aspetti più spiccioli e melodrammatici. I rapporti personali, gli amori finiti, le piccole ironie della sorte di ogni giorno.
Sicuramente tutto questo è vero, ma noi non ci fidiamo troppo di Elvis Costello e preferiamo andare a ricercare ulteriori spiegazioni. La più probabile è che con Almost blue Costello potrà finalmente rifarsi del mancato successo commerciale negli USA. In un film girato durante la lavorazione del disco, l'ex-ragazzo Elvis sembra per un momento rivelarsi. Parlando della vena autodistruttiva comune all'ambiente rock come a quello country and western, il viso gli si vela d'ambiguità mentre dice: “Non nego di esserne attirato a livello istintivo, ma sono convinto dell'idea che non ci sia nulla di romantico nel vivere intensamente e morire giovani” E noi, una volta tanto, siamo d'accordo con lui.
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