Ondarock, April 17, 2006

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Elvis Costello with The Metropole Orkest

My Flame Burns Blue
2006 (Deutsche Grammophon) | pop orchestrale, pop-jazz

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  Ciro Frattini

5

Trent'anni di carriera si fanno sentire per tutti. Man mano che passa il tempo vien voglia di sperimentare soluzioni nuove, magari anche lontane dalle proprie attudini o che spesso, semplicemente, rappresentano sogni di gioventù all'epoca irrealizzabili. Elvis Costello non si è certo sottratto alla regola. Dopo il superbo duetto con Burt Bacharach in "Painted From Memory" (1998), quello con la cantante lirica Anne Sofie Von Otter in "For the Stars" (2001) e il tuffo nella musica classica dell'operetta "Il Sogno" (2004) è la volta del suo primo disco rock'n'jazz (come da presentazione sul sito ufficiale), "My Flame Burns Blue". L'occasione per la realizzazione di questo progetto è stata una tournée con la Metropole Orkestra, un'orchestra jazz con sezione di violini aggiunta, tenutasi nell'estate 2004, dalla quale è stato appunto tratto questo disco live.

La scaletta scelta è formata da alcuni classici di Costello e da tre momenti jazz (in rigoroso ordine di scaletta appaiono cover di Mingus, Bartholomew e Strayhorn). Partiamo proprio da questi, dato che l'ambizioso lavoro è aperto dalla mingusiana "Hora Decubitus". Non si tratta del migliore inizio possibile. Il brano, pur ben eseguito, paga la scadente inventiva dell'orchestra: le parentesi strumentali - i cui gusti classico e jazz non trovano fusione adeguata - e il canto di Costello più che amalgamarsi si rubano la scena: a perderci sono sia l'occhialuto musicista che gli ascoltatori. Il risultato finisce per esser puro esercizio di stile, adatto più che altro ad un sottofondo live per cenetta romantica. L'allegra "That's How You Got Killed Before" ripresenta gli stessi problemi, anche se è presentata in una veste più leggera, e rafforza l'impressione che il lirismo vocale di Costello mal si adatti al jazz. Strappa la promozione invece la title track, presentata con garbo e convinzione.

Con "Favourite Hour" si passa al repertorio pop. Il brano è presentato in questa sua nuova veste da cupe intrusioni di fiati. L'accompagnamento in pratica si limita a esser tale o poco più: eppure il brano perde parecchio. Le romanticherie di Costello si tengono in equilibrio precario e di difficile proposizione già per definizione: la loro magniloquenza può sfociare facilmente in sterile pomposità con un solo ingrediente inadatto. E l'orchestra, pur non provocando mai disgusto, sbilancia il tutto un passo al di là della soglia, facendo perdere la magia.

Vero è che quando partono le varie "Upon a Veil of Midnight Blue", "Almost Blue" e, soprattutto, "Can You Be True?", il colpo al cuore resta uguale: altrettanto vero è, però, che l’imbracatura ne appesantisce notevolmente lo svolgimento e l'istinto è svestire i pezzi dagli abiti (che ripetiamo, paradossalmente, non sono neanche così stringenti). Si riesce a gustare solo a spizzichi.

In altri brani, invece, il ruolo dei musicisti non è di puro accompagnamento, come in una bandistica "Clubland", che perde totalmente la misura, o come ancora nella versione bjorkiana di "Put Away Forbidden Playthings", che, se davvero ce ne fosse bisogno, rende palese che le sensibilità dei due artisti in causa sono davvero lontane.

A Costello non può esser rimproverato di non tentare tutte le carte per la riuscita dell'operazione: le due anime (pop e orchestra) trovano quindi anche egual divisione di compiti e spazio in "Almost Ideal Eyes", che vanta momenti a briglie sciolte e frenate melodiche e in "Episode of Blonde", divisa fra ruggiti latini e apici di romanticismo. Niente da fare: le cose migliori continuano a dipendere dal fatto che i pezzi pop di Costello sono di qualità elevatissima e finiscono per farsi ascoltare (con rabbia, magari) anche così. La prova schiacciante arriva alla fine quando parte quel capolavoro di "God Give Me Strenght", la cui perfezione di base cede un po' il passo a qualche invasione di troppo, ma rimane di cristallina bellezza e purezza.

In verità non si finisce qui. Assieme al live viene ripresentata la non eccelsa operetta classica di Costello, "Il Sogno", in una versione lievemente più succinta. Nonostante ciò anche qui i momenti di interesse sono in minoranza. A esser cattivi, volendo trovare un parellelo, il paragone più calzante potrebbe essere la "Yellow Submarine" di George Martin, ma forse sarei davvero troppo ingeneroso, dunque meglio che si chiuda qui e si torni al punto di partenza, la voglia di sperimentazione e di togliersi qualche sfizio. Costello certo può permetterselo e se tentando tentando ci infila un "Painted From Memory" può permetterselo ancora di più. Questo giro, però, lasciamoglielo correre da solo.

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Ondarock, April 17, 2006


Ciro Frattini reviews My Flame Burns Blue.

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My Flame Burns Blue album cover.jpg

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