Repubblica, June 15, 2005

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Elvis Costello il poeta del pop che ama Firenze


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  Paulo Russo

IMPRENDIBILE, coltissimo Zelig del pop d' autore. Inafferrabile ma inconfondibile Fantomas in eterna fuga fra canzoni, rock, country, jazz, soundtrack e classica, il londinese Elvis Costello - ma il vero nome Declan Patrick Aloisyus McManus ne denuncia cristalline origini irlandesi - è il classico musicista di culto, artista per artisti, addetti e fan devoti. Anche se il conforto dei numeri non gli manca, quest' enciclopedico filologo di suoni e stili, quest' appassionato, dolce, crudele alchimista d' emozioni e relazioni non ha mai mosso un dito per il conto in banca. Se c' è un tratto che meglio di altri lo restituisce è infatti e senza dubbio la feroce, persino dolorosa urgenza espressiva che da sempre gli è stella polare, la complessità agra e malinconica del suo mondo poetico in cui le parole non son mai solo questione di metrica, le note mai calligrafia. Trent' anni di musica su cinquanta di vita, almeno venticinque dischi oltre a incalcolabili, sceltissime epifanie, Costello apre oggi nel parco di Villa Solaria (21.15; 30, 25 e 20 euro, ancora disponibilità; se piove poco si suona, annullato se piove forte) i concerti di «Sesto d' estate» con i suoi nuovi ma già classici Imposters: intorno alla voce toccante e alla scarna chitarra del leader il fido alter ego Steve Nieve al piano, Davey Faragher al basso e Pete Thomas alla batteria. Come è cominciato tutto questo? «Avevo sedici anni, ero operatore al computer per la Elizabeth Arden ma sapevo che la musica sarebbe stata la mia vita anche prima di suonare uno strumento, tant' è che scrivevo già testi per canzoni. Mio padre era trombettista e mia madre vendeva dischi. Un vantaggio, certo, ma la strada che mi ha portato a fare della musica una ragione di vita è molto personale: la famiglia mi ha cresciuto in mezzo alla musica tutta, fin quando, più adulto, ho cominciato a capire le differenze. Il primo disco che ha mi ha colpito da bambino è stato I' ve got you under my skin di Sinatra, il primo che ho comprato con soldi miei, a dieci anni, è stato Fame at last di Georgie Fame. Ma malgrado il mio amore per i dischi non mi sono mai sentito un collezionista. Non ho mai comprato i dischi, cosa che pure adoro fare, in modo così sistematico. La vita ti cambia, come mi è successo ad esempio con i miei matrimoni, e non puoi restare incatenato sempre alle stesse cose, dischi inclusi». Quasi impossibile catalogare la sua produzione e le sue collaborazioni tanto sono variate eppure qualitativamente ineccepibili... «Penso ed agisco in termini di qui ed ora, la consapevolezza o la progettualità non c' entrano. Il vero nodo della questione sono il tempo e la concentrazione per dare vita a un' idea. Anche per le collaborazioni scelgo in base a quello che ho in mente, potrei fare una graduatoria personale fra tutti quelli con cui ho scritto e suonato, non musicale. Penso ad esempio ai miei lavori con McCartney o Bacharach: sono cresciuto ascoltando quei due maestri, averli avuti a fianco è qualcosa che va al di là del fatto artistico. La diversità di tutti quelli con cui ho suonato è per me il valore sostanziale di ognuno di quegli incontri». C' è nel suo sterminato repertorio incluse le infinite cover un disco del cuore? «è molto difficile rispondere. Resta indimenticabile l' esperienza del primo disco, My Aim is True. Lì ho capito la differenza che sta fra un' idea e un disco, il lavoro che serve per arrivarci. Anche North occupa un posto speciale: credo sia il disco più onesto che abbia mai fatto, quello in cui mi sono misurato con me stesso più a fondo, fino a ritrovarmi nudo davanti alla musica. Vedo le cover come opportunità per la mia sensibilità. Le scelgo per quello che hanno significato per me ma anche, come She, un classico di Aznavour che ho messo nella colonna sonora di Notting Hill, per fare cose che normalmente non farei come, in quel caso, mettermi alla prova con una canzone dai toni fortemente romantici». Che concerto ascolteremo? «Arrivo con gli Imposters, siamo una vera e propria rock band. Ci piace arrivare sul posto per poi scegliere i pezzi. Ma posso garantire che ci sarà spazio per tutta la mia carriera, dagli esordi ad oggi». Lei ha un legame forte e antico con Firenze... «La prima volta sono venuto qua nel 1966 con mia madre, poi negli anni ci sono tornato spesso. Una volta mi sono fermato un mese: la sola maniera per sviluppare un senso di appartenenza a un luogo non tuo, per sentirti un abitante e non un turista. Al posto dell' albergo affitti una casa, vivi la vita quotidiana scoprendo regole e modi del posto dove sei, da come fare la spesa a dove si butta la spazzatura. Ti perdi per la strada - ma è un magnifico, efficace modo di perderti - e poi la ritrovi fino sentir spuntare qualche forma di radici. Quello che amo di più qua è la incredibile stratificazione di epoche e culture dall' antichità alla contemporaneità che ti sta davanti in ogni momento: una prodigiosa sovrapposizione piena di vita, dalle bellezze artistiche alla folla, dalla stupidità all' incanto delle visioni notturne. Stimoli indispensabili anche per il mio lavoro, come sta succedendo anche in questi giorni passeggiando per le strade di Firenze mentre, tra un negozio e una piazza, una cena e la lettura di un libro in qualche caffè, sto lavorando a una commissione della Royal Danish Orchestra. Quando sei in tour è proibitivo trovare tempo per lavorare, un tempo continuo, senza interruzioni o urgenze. Ho visto Firenze in tutti i momenti dell' anno, il turismo le cambia profondamente volto a seconda delle stagioni: serve pazienza e se ci puoi aggiungere anche il lusso di un po' di tempo allora questa città ti rivela tutta la sua ricchezza. Eppure qui ho suonato solo un' altra volta, al Verdi nel ' 97, curioso, no?».

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la Repubblica, June 15, 2005


Paulo Russo previews Elvis Costello and The Imposters, on Wednesday, June 15, 2005 at Villa Solaria, Sesto Fiorentino, Italy.


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