Rockol, January 24, 2022

From The Elvis Costello Wiki
Jump to navigationJump to search
... Bibliography ...
727677787980818283
848586878889909192
939495969798990001
020304050607080910
111213141516171819
202122232425 26 27 28


Rockol

Italy publications

Newspapers

Magazines

Online publications


European publications

-

Elvis Costello: “Non venderò le mie canzoni: non mi pagherebbero abbastanza per farmi smettere”


translate
   Gianni Sibilla

Ama Mina e gli Almamegretta, conosce Sanremo (e anche i Maneskin). Ha fatto album in francese e spagnolo. Ma torna sempre al rock: con le chitarre di “The boy named if” è in top 10 dopo 28 anni. Ma non chiamatelo “ritorno alle origini”. L'intervista

Il racconto della musica è spesso fatto di stereotipi, sia per gli artisti che promuovono un nuovo album, sia per la stampa che pigramente prova ad inquadrare canzoni nuove usando modelli consolidati. “Ritorno alle origini? Non ha nulla a che fare con la musica e con cosa faccio. L’hai mai sentito usare da me?”, mi dice sorridendo Elvis Costello, in collegamento su Zoom da New York: è appena tornato al suono di una rock band, incidendo con gli Imposters per “The boy named If”. Anche se spiega, lui non sopporta quella che chiama l'"ortodossia del rock".

Declan MacManus non ha mai scelto strade semplici o banali: da quando nel ’77 venne bandito dalla TV americana per avere cambiato in diretta la canzone durante una performance al Saturday Night Live, a quando poco dopo abbandonò il suono tra punk e rock che lo aveva reso noto per darsi prima al pop, poi al country e in seguito ad ogni genere musicale possibile.

The boy named if” è il picco di un periodo estremamente creativo per Costello: 3 dischi in poco più di 3 anni, più singoli, EP e collaborazioni; persino una rielaborazione in spagnolo del suo secondo album, “This year's model”. Merito della sintonia con il produttore Sebastian Krys, mi spiega: con lui ha inciso pure un altro paio di dischi ancora non pubblicati. E merito del fatto che la musica è stata, per lui come per tanti, un modo per sopravvivere nella pandemia.

Con questo disco Elvis Costello è tornato nella top 10 inglese dopo ben 28 anni: non succedeva da “Brutal youth”, 1994, altro album di ritorno al suono di una rock band dopo qualche anno. Ora come allora, non ha nessuna intenzione di rallentare, né di vendere il suo catalogo, come stanno facendo molti colleghi.

Recentemente hai detto che i tuoi album preferiti non sono quelli rock. Periodicamente pero torni alle chitarre elettriche e a incidere con gli Imposters.
Questa band esiste da 20 anni, e non è passato anno senza che siamo andati in tour. Anche se ci sono solo 4 dischi accreditati agli Imposters, non vanno mai in pausa. Sono musicisti che hanno una vita, suonano sempre, anche con altri artisti, anche senza stare a casa ad aspettarmi. Abbiamo sintonia ed esperienza: quando ci metti assieme c’è una chimica naturale.

Questo è un album frutto della pandemia: lo avete inciso a distanza.
Scherzando, dicevo che siamo così brutti che se non ci vediamo di persona è meglio, così ci concentriamo. Abbiamo cercato di non farci limitare dalle distanze spazio-temporali: abbiamo suonato davvero in maniera spontanea e senza frenarci. È stato un modo di tenere viva la musica in un periodo in cui rischiava di spegnersi e in un periodo in cui ognuno individualmente ha avuto problemi enormi.

Il suono del disco è basato sulla tua Fender Jazzmaster, la stessa che hai esibito in copertina del primo disco 45 anni fa.
La uso sempre, è la mia chitarra principale. Ogni tanto ne scelgo un’altra se ho bisogno di un suono particolare, ma sul palco non la cambio quasi mai per non interrompere il flusso dello spettacolo.

La copertina e le illustrazioni legate alle canzoni sono tuoi disegni, come facevi già nei dischi degli anni ’80…
Il fatto è che come illustratore non sono migliorato molto da allora... La copertina di “Blood & chocolate”, per esempio era un dipinto vero su tela, questo è fatta su un iPad, con una penna elettronica. È un po’ come un campionatore, metti assieme dei pezzi, li sistemi…

Tra i tuoi ultimi progetti c’è stato un EP in francese e una rivisitazione di “This year’s model” in spagnolo. In passato hai campionato la voce di Mina e cantato una canzone di Modugno. Vedremo mai un progetto italiano?
Mina è una cantante incredibile! Invece “Dio come ti amo” l’ho incisa per un album della cantante spagnola Vega, dedicato al festival di Sanremo. Lei pensava fossi di origini italiane per via del mio nome... Ma nessuno di noi due parlava la lingua, anche se un po’ ho studiato l'italiano: alla fine credo di esserci riuscito dignitosamente, con un po’ di pazienza. Ma a differenza di mio padre non ho la capacità di cantare facilmente in altre lingue…

Cosa ti ricordi del Festival di Sanremo?
Mio padre aveva un’orchestra. Da ragazzo, pur di non fare le pulizie in casa il sabato con mia madre, andavo alle dance hall dove lui suonava e le gente le ballava. Mio padre cantava spesso in italiano, francese e spagnolo, così conoscevamo le canzoni del Festival degli anni ’50 e ‘60. Ovviamente la prima che ho sentito è “Volare” che fu una hit internazionale anche grazie a Dean Martin, ma anche “You don't have to say you love me” di Dusty Springfield (versione inglese di “Io che non vivo (senza te)" di Pino Donaggio, ndr). Le grandi ballate romantiche ogni tanto venivano tradotte in inglese, al tempo.

Per la prima volta una band italiana, quella che l'anno scorso ha vinto sanremo, è stata ingaggiata al Saturday Night Live. È un programma che conosci bene: dopo la tua prima esibizione nel ’77 sei stato bandito per più di 10 anni.
Spero non cambino canzone in diretta come ho fatto io! (ride). Ragazzi, suonate e basta! Come si chiamano?

Sono i Maneskin.
Ah si, li ho sentiti, sono bravi. Io mi sono divertito molto al Saturday Night Live, spero anche loro. Scherzi a parte, è bello che ci siano band da tutto il mondo che hanno successo. Io amo un’altra band italiana, gli Almamegretta, avrebbero meritato di più. Certe volte le barriere linguistiche sono un limite, altre volte lasciano aperta l’interpretazione del feeling che la voce suggerisce. Credo che la lezione sia: non avere paura di ascoltare.

Hai lavorato molto con il cinema. La tua maggiore hit è “She”, da “Notting Hill”.
Lascia che ti corregga “Il più grande successo finora”... (ride)

Il tuo grande successo finora è per il cinema. Ma Saturday Night Live a parte, che rapporto hai con la TV?
Ci sono le performance che puoi fare nei programmi, ovviamente. Ma ho lavorato anche con le serie, come per i Soprano: una volta David Chase, il creatore, mi disse che avrebbe potuto usare una mia canzone per ogni episodio. Gli ho chiesto cosa l’avesse fermato… Ho lavorato parecchio con David Simon, il creatore di “The Wire” e poi di “Treme” che raccontava New Orleans dopo Katrina: appariva Allen Toussaint, con cui avevo appena inciso un disco. Da una richiesta di David Simon per un'altra sua serie, "The deuce", è nata la catena degli eventi che mi ha portato a reincidere “This year’s model” con cantanti spagnoli, l'anno scorso.

L’uso delle canzoni al cinema e in TV è un business sempre più rilevante, a cui è legata la compravendita dei cataloghi di canzoni. Cosa ne pensi dei tuoi colleghi che stanno vendendo i diritti del proprio repertorio?
Bisognerebbe capire quali sono le loro motivazioni. Immagino che pensino al futuro e alle difficoltà che i loro famigliari incontrerebbero se dovessero lasciare questo mondo. Lascerebbero un puzzle molto complicato da completare, e credo che abbia a che fare con questo. Le case discografiche sono ricche e potenti ma ora competono con i venture capitalist Chi fa musica parte da un posizione di privilegio rispetto a chi fa altri mestieri per mettere il cibo in tavola, ma rimane un sistema con molte ingiustizie.

Che si tratti di musica non ti esenta dal fatto che tu debba essere retribuito in maniera equa e, allo stesso tempo, non deve legittimare il fatto che qualcuno lucri sul lavoro altrui.

Tu non hai mai avuto un rapporto facile con l’industria discografica. L'incidente del Saturday Night Live nacque perché volevano farti suonare una canzone e tu ti rifiutasti, cambiandola in diretta.
Ho sempre lavorato facendo in modo di non avere debiti e pensando a fare musica. Ho sempre chiesto pochi soldi in anticipo dicendo: “noi facciamo i dischi in fretta, ma dateci le stesse percentuali di royalties di Barbra Streisand”. Ha funzionato: non ho fatto fortuna, ma ho fatto quello che volevo e ho avuto la fortuna di potermi prendere cura dei miei cari. Sono contento di avere avuto un lavoro per questi 45 anni e di continuare ad averlo.

Hai pensato all’idea di vendere anche tu il tuo catalogo?
Non credo il mio catalogo verrebbe valutato come credo sarebbe giusto e in maniera tale da pensare di farmi smettere. Paradossalmente, “The Juliet letters”, un brano classico inciso con il Brodsky Quartet, ha più versioni di “Alison” che è forse la mia canzone più famosa. Le mie canzoni sono ben conosciute, ma non ci sono molte cover. Dico sempre che le mie canzoni sono come 600 biglietti della lotteria: una potrebbe vincere, magari finire nel prossimo “Spiderman”... Preferisco tenermele e continuare a fare il mio lavoro: non posso lamentarmi. Il valore della mia musica è superiore: voglio poter continuare a raccontare storie.


Tags: MinaThe Boy Named IfThe ImpostersSaturday Night LiveThis Year's ModelSebastian KrysBrutal YouthBlood & ChocolateLa Face de Pendule à CoucouSpanish ModelDomenico ModugnoDio Come Ti AmoVegaSan RemoDean MartinDusty SpringfieldShe Notting HillNew OrleansAllen ToussaintThe Juliet LettersThe Brodsky QuartetAlison


-
<< >>

Rockol, January 24, 2022


Gianni Sibilla interviews Elvis following the release of The Boy Named If.

Images

2022-01-07 The Scotsman photo 01 ms.jpg
Photo credit: Mark Seliger.

-



Back to top

External links