Velvet, March 1989: Difference between revisions

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''Avevi previsto tutto o molte idee ti sono venute in studio?  
''Avevi previsto tutto o molte idee ti sono venute in studio?  


Tutto, dagli arrangiamenti agli strumenti da utilizzare, era stato deciso prima di iniziare le session. lo, T{{nb}}Bone e Kevin Killen ci siamo riuniti ed abbiamo deciso quali strumenti inserire in ogni canzone affinchè ognuna di esse vivesse nel giusto modo. Come gli arrangiatori per orchestra, abbiamo cercato di creare il clima adatto ad ogni canzone. Sono stati i singoli brani a determinare la scelta di alcuni strumenti, e non viceversa, poi si é trattato di attaccarsi al telefono e chiamare uno per uno tutti i musicisti che più ci sembravano adatti. Ci è voluto un mese per prendere tutti i contatti, e in qualche caso ce l'abbiamo fatta grazie ad un pizzico di fortuna.
Tutto, dagli arrangiamenti agli strumenti da utilizzare, era stato deciso prima di iniziare le session. Io, T{{nb}}Bone e Kevin Killen ci siamo riuniti ed abbiamo deciso quali strumenti inserire in ogni canzone affinchè ognuna di esse vivesse nel giusto modo. Come gli arrangiatori per orchestra, abbiamo cercato di creare il clima adatto ad ogni canzone. Sono stati i singoli brani a determinare la scelta di alcuni strumenti, e non viceversa, poi si é trattato di attaccarsi al telefono e chiamare uno per uno tutti i musicisti che più ci sembravano adatti. Ci è voluto un mese per prendere tutti i contatti, e in qualche caso ce l'abbiamo fatta grazie ad un pizzico di fortuna.


''Chi ti conosce sa che sei stato un grande amante dei Byrds e di Gram Parsons e potrebbe quindi dare un significato particolare alla presenza di Roger McGuinn e della sua Ricicenbacker 12 su "...This Town...". Come sei arrivato a scegliere proprio lui per quella parte?
''Chi ti conosce sa che sei stato un grande amante dei Byrds e di Gram Parsons e potrebbe quindi dare un significato particolare alla presenza di Roger McGuinn e della sua Ricicenbacker 12 su "...This Town...". Come sei arrivato a scegliere proprio lui per quella parte?

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Elvis Costello — the Velvet interview


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   Ermanno Labianca

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Non sai più come chiamarlo, il signor Declan MacManus. Sta mettendo in fila, album dopo album, i nomi che gli torneranno utili per la prossima ruota della fortuna, e fa fatica persino lui a dirti con quale vorrà essere ricordato quando le luci del circo si saranno spente. Oggi è the beloved entertainer, un parente stretto di Napoleon Dynamite e del coward brother. Un impostore che si diverte ancora a fare le boccacce ai giornalisti e che continua a giocare con le sue canzoni come fossero pezzi di un mosaico da ricomporre ogni volta in maniera diversa. Consegnato il pop agli anni Settanta, smaltite le sbornie soul e country & western, Elvis Costello prova adesso a mettere d'accordo, con Spike, New Orleans e Dublino, il basso e la chitarra Rickenbacker di Paul McCartney e Roger McGuinn, il folk e la classica.

A chiarire le idee, ci pensa lui, fra un ricordo di infanzia e un delicato addio a Roy Orbison, smesse per l'occasione la maschera e le battute da clown. Testimoni una terrazza prestigiosa che fa apparire Roma notevolmente più bella del cantiere che è diventata, una Cait O'Riordan che sonnecchia dietro le pagine di un libro più grande di lei e una copia autografata di "Watching The Detectives" da mostrare un giorno ai nipoti quando di questo strambo personaggio si dirà che è stato uno fra i più geniali compositori del secolo precedente.


A cosa si deve la tardiva scoperta delle tue radici irlandesi? Su Spike, il tuo nuovo album, oltre a tua moglie Cait O'Riordan ci sono musicisti del circuito folk come Christy Moore, Davy Spillane e Steve Wickham.

E stato un processo molto lento, devo riconoscerlo, ma prima d'ora non avevo mai composto canzoni a cui ben potessero adattarsi suoni e strumenti irlandesi. Ho sempre amato — anche se non in tutte le sue forme espressive — la musica tradizionale irlandese, e se un punto di contatto con il mio fare musica è giunto così in ritardo si deve anche ai pregiudizi di cui ero carico agli inizi della mia carriera. Consideravo i musicisti folk inferiori a chiunque componesse materiale proprio — bello o brutto che fosse — anzichè rifarsi alla tradizione. E sbagliavo. Perché pian piano, oltre alle mille sfumature che quel particolare genere musicale possiede, ho iniziato ad apprezzare e conoscere i musicisti scoprendoli sensibili, preparati e ricchi di talento. Il mio era un atteggiamento che oggi condanno senza mezzi termini, ma ci vuole tempo per tutto, anche per imparare a distinguere il bene dal male senza farsi condizionare dalle apparenze.

E oggi sei talmente sicuro da permetterti addirittura l'inserimento di piccoli tasselli (l'Irlanda nella tua musica...

E un fatto naturale che prima o poi doveva accadere. Ovunque nella mia casa c'erano dischi tradizionali durante gli anni della mia adolescenza. Spike, pur spaziando spesso ben oltre il folk irlandese, è l'album che più riflette i suoni della mia infanzia. Suoni che si perdono nei ricordi ma che sono sempre stati vivi dentro di me.

Saresti in grado di metterne a fuoco qualcuno?

Non è facile, ho ascoltato tantissima musica da ragazzino. Talvolta mi fissavo su un brano in particolare e non ascoltavo che quello per giornate intere.

Deve essere nata lì la tua passione sfrenata per i singoli.

Ma è durata poco, almeno da ascoltatore, perchè per me è come se tutto si fosse fermato al 1966. Da allora la pop music è andata impoverendosi: band come i Quicksilver Messenger Service, poi l'hard rock, poi ancora il progressive rock e gli assolo interminabili non fecero che allontanarmi definitivamente da quel mondo, portandomi a comporre in prima persona per reagire a quello stato di cose. Non ho mai smesso, certo, di ascoltare dischi, ma oggi lo faccio con più distacco e meno eccitazione; ci vuole davvero qualcosa di speciale perchè io mi concentri su produzioni degli anni Settanta e Ottanta. E solo che si ascoltava grande musica quando ero un ragazzino. La country music su tutto; poi il soul e i singoli della Tamla Motown che presero il posto del pop bianco nei gusti dei giovanissimi. Ricordo con piacere i numerosi hit degli Who, dei Kinks e di Dusty Springfield, ma poi, quando tutti si interessarono al concetto di album, per me fu la morte.

Ti ricordi il primo disco acquistato?

Fu "Please Please Me" dei Beatles il primo in assoluto. Fui in seguito molto avvantaggiato nel mio apprendimento poichè mio padre — che era cantante nell'orchestra di Joe Loss, il Glenn Miller inglese — riceveva a casa dischi di ogni genere che venivano a lui spediti dai vari autori, speranzosi di vedere una delle loro canzoni ripresa dal vivo o portata in qualcuno dei radio show a cui partecipava. La mia passione per i Beatles nacque allora: la Northern Song, la casa di edizioni che pubblicava i loro brani, per le ragioni che ti ho appena detto inviava a casa mia gli acetati dei singoli del quartetto prima ancora che il vinile fosse disponibile nei negozi. Li conservo ancora gelosamente anche perché ormai preziosissimi, ma nello stesso cassetto credo ci siano anche la tessera di un loro fan club di Londra a cui ero iscritto quando avevo undici anni o giù di lì e tutte le riviste a loro dedicate che mi giungevano a casa puntualmente il 15 di ogni mese.

Avresti mai immaginato allora di lavorare un giorno con Paul McCartney?

Qualsiasi cosa ti rispondessi sarebbe priva di senso. Mi crederebbe qualcuno se ti dicessi sì? La vostra collaborazione ha fruttato due brani per Spike ma pare debba continuare.

Come siete giunti a questo?

Lo incontrai per la prima volta in uno studio di registrazione dove io ero con gli Attractions e lui con Michael Jackson. Scambiammo poche parole e ci lasciammo dicendo che ci saremmo risentiti. Non successe nulla di concreto almeno sino allo scorso anno, quando fu lui a chiedermi di scrivere qualcosa insieme. Andai a trovarlo nel suo studio di registrazione con la paura di andate incontro ad un mezzo fallimento: non sempre quando ci si incontra fra artisti con la ferma intenzione di comporre musica si riesce a trovare la giusta intesa.

Fu per quello, e non certo per presunzione, che portai con me un nastro su cui avevo inciso alcune idee per due possibili brani. Tutto andò come avevo previsto, cioè malissimo. Trascorremmo le prime due ore parlando o suonando vecchie canzoni, ma idee, quelle niente! Fu solo allora che tirai fuori quella cassetta dicendo a Paul che avremmo potuto lavorare sui miei due brani. Mi aiutò a finirli e a trovare il giusto arrangiamento. Erano proprio "Pads, Paws And Claws" e "Veronica." Ecco perché sono firmate McCartney/MacManus.

Si è detto della possibilità di un album insieme...

Abbiamo un'altra decina di brani pronti. Sono tutte ottime canzoni che abbiamo composto non appena abbiamo ultimato il materiale per Spike e in una condizione di confidenza maggiore, ma escludo la possibilità di un album insieme, almeno per il momento. Quel che so per certo è che Paul ha intenzione di utilizzare alcuni di quei titoli per il suo prossimo LP.

Cosa provi oggi quando Paul afferma che lavorare con te gli ha fatto ricordare i tempi in cui al suo fianco c'era Lennon?

Una soddisfazione enorme.

Hai provato a spiegarti un simile accostamento?

Non sono John Lennon e lavorando con Paul ho sempre evitato di pensare a ciò che avevano fatto i Beatles insieme. Per lavorare meglio ho dovuto eliminare quella barriera psicologica che inevitabilmente si sarebbe venuta a creare fra me e lui che è sempre stato un mio idolo. E anche per questo che, giustamente, non tutto è stato rose e fiori fra noi due. Forse Paul ha detto quello che ha detto perché lavorando con me ha provato lo stesso tipo di tensioni che esistevano fra lui e John Lennon. Tensioni forti ma positive. Se non scatta quel tipo di scintilla è difficile lavorare con altri. Credo che l'aver portato quel nastro in studio con me sia stato il primo segno della mia intenzione di lavorare alla pari, senza quella riverenza che mi avrebbe magari portato ad incidere un brano mediocre solo perché era firmato da Paul McCartney. Non era una forma di snobismo la mia, ma solo una dimostrazione di realismo. Paul ha capito le mie intenzioni e si è reso conto che non avrebbe avuto a che fare con un fan imbambolato. Solo il primo giorno ho dovuto rompere il ghiaccio cercando gli spunti adatti a riempire i momenti di imbarazzo.

Di cosa parlavate in quei momenti?

Del più e del meno, ma era sempre la musica il nostro argomento preferito: come il riscaldamento degli atleti prima di scendere in campo. Gli ho confessato di non amare particolarmente Buddy Holly, e non per il semplice fatto che spesso, agli inizi della mia carriera, un po' per l'aspetto fisico, un po' per chissà cos'altro, qualcuno mi ha accostato a lui. Ho cercato di spiegargli che quando ero un ragazzino Buddy Holly — che insieme a Little Richard è uno dei più grandi idoli di Paul — mi sembrava tremendamente fuori moda. Con gli anni ho cambiato in parte idea, ma continuo a preferirgli Chuck Berry. Ho anche raccontato a Paul di quando appresi con meraviglia che "Roll Over Beethoven" l'aveva scritta Chuck Berry e non George Harrison!

Il tuo modo di comporre sembra cambiato negli ultimi anni: è un'impressione giusta o erano gli Attractions con il loro stile a mascherare le differenze strutturali fra i vari brani rendendo tutto più omogeno?

Ci sono due modi differenti di vedere quest'aspetto. È senz'altro un bene quando la tua musica tende ad essere caratterizzata da un piccolo gruppo di musicisti: tutto viene reso più fruibile e meno contorto; ma al tempo stesso più provi ad "aprire" un brano, arricchendolo con l'immissione di altri strumenti, e più sarà facile "leggerlo," provando ad intuire il ruolo e il significato di ogni singolo strumento. Spesso con gli Attractions al completo lo humor di alcuni brani veniva sommerso fino a perdersi nel sound aggressivo della band. Non preferisco una cosa all'altra, sono differenti fra loro. Sono orgoglioso di Blood & Chocolate così come lo sono di Spike, un album in cui sono riuscito ad incorporare, divertendomi, i suoni più immaginativi che mi passavano per la mente durante le registrazioni. E una cosa difficile da realizzare con una band ristretta perché quello che guadagni in coesione lo perdi talvolta in creatività. In passato mi piaceva ottenere quel suono "chiuso" in se stesso che si può ascoltare oggi in Blood & Chocolate ad esempio. Lo dico senza togliere nulla agli Attractions che sono una band in grado di ottenere splendidamente suoni raffinati e delicatissimi, perché quello era lo stile adatto a certe canzoni.

Ma così facendo, inserendo cioè diversissimi strumenti e musicisti all'interno dei tuoi album, stai via via prendendo le distanze dai tuoi stessi album del passato — mi riferisco in particolare al 'pure pop' di This Year's Model, al country di Almost Blue e alle divagazioni Stax di Get Happy — che, pur diversissimi fra loro, avevano come comune denominatore la ricerca di un suono "unico" che li caratterizzava.

Non credo più che debba esistere all'interno di un album un tema musicale "unico." L'ho fatto in passato e non escludo di poter tornare a farlo, ma attualmente sono più interessato ai mille modi diversi con cui ci si può accostare ad una canzone. Nell'ultimo album è stata l'imprevedibilità ad avere la meglio sulla razionalità; prendi ad esempio il lavoro che ha fatto la Dirty Dozen Brass Band nei quattro brani a cui ha partecipato: in uno, "Deep Dark Truthful Mirror," fa più o meno ciò che la gente si aspetterebbe, ma su "Stalin Malone," lo strumentale, ho voluto che quei musicisti, contrariamente alle loro abitudini, leggessero la musica. Nelle altre due song c'è una sovrapposizione di strumenti tale da renderle uniche. Quel che abbiamo cercato di fare è stato prendere le mie canzoni e portarle a New Orleans, e non è stato come pretendere che dei musicisti locali venissero in studio da me in California, Inghilterra o Irlanda; portando loro le mie canzoni ho chiaramente fatto capire che si trattava di uno scambio e non di un semplice acquisto. Credo che non si sia mai ascoltato prima qualcosa come "Miss Macbeth" o "Chewing Gum": è una mistura, esattamente ciò che il rock 'n' roll ha sempre significato per me, perché un disco di rock 'n' roll non é tale solo se in copertina ci sono un figuro con i capelli imbrillantinati e una scritta rosa confetto. Rock 'n' roll é anche altro. Ci fossero più ponti fra le differenti culture e i diversi paesi la gente non sarebbe così diffidente. Raccontarsi storie scambiandosi le musiche é un grande segno di fratellanza.

Avevi previsto tutto o molte idee ti sono venute in studio?

Tutto, dagli arrangiamenti agli strumenti da utilizzare, era stato deciso prima di iniziare le session. Io, T Bone e Kevin Killen ci siamo riuniti ed abbiamo deciso quali strumenti inserire in ogni canzone affinchè ognuna di esse vivesse nel giusto modo. Come gli arrangiatori per orchestra, abbiamo cercato di creare il clima adatto ad ogni canzone. Sono stati i singoli brani a determinare la scelta di alcuni strumenti, e non viceversa, poi si é trattato di attaccarsi al telefono e chiamare uno per uno tutti i musicisti che più ci sembravano adatti. Ci è voluto un mese per prendere tutti i contatti, e in qualche caso ce l'abbiamo fatta grazie ad un pizzico di fortuna.

Chi ti conosce sa che sei stato un grande amante dei Byrds e di Gram Parsons e potrebbe quindi dare un significato particolare alla presenza di Roger McGuinn e della sua Ricicenbacker 12 su "...This Town...". Come sei arrivato a scegliere proprio lui per quella parte?

Il suo é proprio uno di quei casi fortunati a cui accennavo prima. Eravamo entrambi a New Orleans, io per registrare le parti dei fiati e lui per alcuni concerti. Andai al suo show e al termine qualcuno ci presentò. Dovevo aver bevuto abbastanza, perché T Bone mi ha poi riferito che ho detto qualche fesseria di troppo. Ma erano vent'anni che aspettavo di conoscere Roger! L'indomani pregai T Bone di contattarlo perché io potessi salvarmi la faccia e, con l'occasione, invitarlo a partecipare all'album. Mi sarebbe dispiaciuto lasciargli una brutta immagine di me.

E lui?

Lui accettò senza esitare facendomi il più gradito dei regali.

Considero Roger un musicista in avanti rispetto ai tempi. Quello che più di altri ha influenzato le decine di guitar band di cui oggi tutti parlano. Parafrasando ciò che Charles Mingus disse di Charlie Parker ("Se Charlie Parker fosse un pistolero ci sarebbero pochi sassofonisti in giro," N.d.R), direi che se Roger fosse un sicario ci sarebbero ovunque i cadaveri di R.E.M. e gente simile. Non che Stipe e compagni non valgano, ma è per dare a Roger — uno fra i musicisti meno citati quando si tratta di parlare di radici e influenze — ciò che realmente si merita. Se non fosse esistito lui oggi ci sarebbe il vuoto.

Sei fra gli artisti britannici che sono prima esplosi clamorosamente in America e poi, anni dopo, hanno riportato la loro musica a casa.

Quando capita di avere un grande successo in America é meglio autoregolarsi presto prima che la gente ti distrugga. Da quelle parti vai bene quando sei talmente all'avanguardia da fare sensazione o quando sei esageratamente immobile... lo ho sempre cercato di non fare il passo più lungo della gamba e anzi, quando si trattava di dare l'OK agli organizzatori locali per i tour ero sempre il primo ad assicurarsi che le arene non superassero, tranne in casi isolati, una certa capienza. Il troppo esporsi ti può portare velocemente al grande pubblico, ma con altrettanta velocità é in grado di ridimensionarti. In Europa é molto più facile controllare il mercato.

Quale pensi sia la considerazione che ha oggi di te il pubblico americano dopo i vecchi fraintendimenti con la stampa locale e con alcuni colleghi? Mi riferisco anche all'episodio che ti vide "discutere" con Stephen Stills e Bonnie Bramlett in un vecchio locale di Columbus a proposito del colore della pelle di Ray Charles...

Non credo che la gente abbia poi preso esageratamente sul serio quell'avvenimento quanto alcuni giornalisti. Era chiaro che io non volevo offendere Ray Charles, ma a così tanti anni di distanza parlarne ancora può solo essere dannoso. Chi mi segue sa che ho partecipato al Rock Against Racism e che fra le cover che ho interpretato durante la mia carriera c'é anche "(What's So Funny About) Peace, Love and Understanding" di Nick Lowe. Sono quelle le migliori risposte a chi ancora mi accusa.

Trovi sempre delle differenze fra l'audience europea e quella americana?

Ho sempre detto che per certi versi preferisco gli americani in quanto meno ossessionati degli inglesi dai cambiamenti delle mode. Negli U.K tutti, soprattutto quelli che nel music business ci lavorano, sono interessati a ciò che succede ora; se sei in giro da più di tre anni già puzzi di vecchio.

Non credi che gli americani talvolta cadano nell'errore opposto?

È vero, sono forse troppo rispettosi verso chi in qualche modo é appartenuto alla storia del rock 'n' roll. Un po' di critica in più non guasterebbe. Prendi Eric Clapton o musicisti simili: nulla da dire sulle qualità tecniche, ma la competizione con se stessi dov'é andata a finire? Troppa staticità e troppo successo. Una vera ingiustizia.

Parliamo di produttori:cosa hai imparato da T Bone Burnett, Clive Langer, Bill Sherrill e gli altri con cui hai lavorato?

È da vari anni — fai caso al fatto che il mio nome, fra quelli dei produttori, é sempre il primo — che produco i miei album principalmente da solo. Se questo oggi é possibile lo devo alle persone con cui ho lavorato in passato. Ognuno mi ha insegnato qualcosa di prezioso e importante.

Quali requisiti deve avere un buon produttore?

Se é un buon musicista innanzitutto é sempre meglio, ma non é un fattore determinante la profonda conoscenza del pentagramma; avere un buon cuore é importante quanto avere un buon orecchio. Poi devi essere abile a capire in tempi brevi le vanità e le paure di un artista. Non tutti sono in grado di farlo, e Bill (Sherrill, produttore di Almost Blue, N.d.R) é fra questi. E un ottimo produttore di country and western, ma non serve a nulla essere precisi ed impeccabili sul lavoro se poi ci si comporta come degli impiegati di studio. Se Bill vive come una macchina è però anche un po' colpa dell'ambito in cui opera: a Nashville si producono troppi album in poco tempo. Di Nick Lowe ho sempre apprezzato la spontaneità, la stessa dote che trovo in T Bone. Clive Langer é forse il più professionale di tutti. Ho trascorso anni a prendere appunti rubando i loro piccoli segreti. Per Spike mi sono avvalso della collaborazione di T Bone e di Kevin Killen, l'ingegnere del suono di Rattle And Hum.

Mi ricordo che successivamente all'uscita dell'album degli 112 il Melody Maker pubblicò una tua foto: eri in fila davanti al Virgin Megastore pronto ad essere fra i primi acquirenti del disco...

Ho apprezzato il lavoro svolto da Kevin con gli U2, e quando si é trattato di scegliere un ingegnere per Spike ho voluto lui. E molto importante avere un buon tecnico in studio quando si vogliono registrare molti strumenti assai diversi fra loro come abbiamo fatto noi.

Qual é stato il ruolo di T Bone Burnett?

Lui era l'esperto in country e folk della situazione. Doveva sempre ricordarsi il piano originale e aiutarmi a non allontanarmi troppo da quell'idea. In questo sono un po' debole, mi faccio prendere talvolta la mano. A New Orleans, ad esempio, venuto in contatto con dei musicisti così straordinari difficilmente avrei resistito alla tentazione di mutare qua e là qualche arrangiamento. Un baby sitting di questo può anche sembrare frustrante, ma bisogna avere, se necessario, anche l'umiltà per attribuirsi un controllo di quel tipo.

Mi ricordo di quanto Roddy Frame degli Aztec Camera veniva accusato di copiare il tuo stile vocale. Ora "Last Boat Leaving," che chiude Spike, suona alle mie orecchie come una canzone degli Aztec Camera...

Se n'é parlato, ma personalmente non ho mai notato questa rassomiglianza. È ok per quanto pensi di "Last Boat Leaving," ma io ho un'altra opinione. È forse la chitarra acustica a farti pensare a Roddy Frame.

Ti riferisci ai primi Aztec Camera?

Mi ricordo che circa sei anni fa aprivano i miei show. Alcune loro canzoni non mi dispiacevano, ma oggi li vedo fare in TV del pop/soul per ragazzini e penso ad un talento sprecato.

Qual é esattamente il tuo ruolo all'interno della Demon Records?

Sono un direttore che non ha l'assoluto controllo della conduzione.

Vuoi dire che non tocca a te decidere quali artisti mettere sotto contratto?

È ovvio che in certi casi mi spetta l'ultima parola, però tendo a non forzare i miei collaboratori, tutta gente validissima di cui ho piena fiducia. Abbiamo due etichette: la Demon si occupa della pubblicazione di materiale corrente — cose come Johnny Adams, Johnny Copeland e del rhythm'n' blues; poi c'é la Edsel che commercializza riedizioni di vecchi album dei Sixties e dei primi Seventies.

Vecchi amici come John Hiatt e Graham Parker sono con la Demon. Mi piace essere romantico e credere che sia stato tu, per più d'un motivo, a volerli con te. Mi sbaglio?

Quando si tratta di valorizzare prodotti e artisti in cui credo mi permetto di dare qualche suggerimento senza essere pressante. Oggi sono orgoglioso del fatto che John abbia realizzato per noi un grande album come Bring The Family. Anche Graham Parker, con The Mona Lisa's Sister, si é superato offrendoci il suo migliore prodotto da molti anni a questa parte. Sono felice per entrambi, se lo meritano.

Cosa ti ha spinto ad acquistare i diritti per l'Europa di tutti i tuoi vecchi LP?

In questo modo, ripubblicandoli tutti su etichetta Demon, mi é più facile controllare che siano tutti sempre disponibili nei negozi e che il prezzo non superi un certo tetto. L'ho fatto anche per onestà nei confronti di chi compra i miei dischi.

Dov'eri quando é morto Roy Orbison?

A casa. Ero rientrato da poco quando ho appreso la notizia dalla TV; ero triste, molto triste in quel momento. Sapevo che Roy non godeva di ottima salute, ma non pensavo alla possibilità di una fine così improvvisa. Tutto era tornato a sorridergli e il suo pubblico aveva ricominciato a volergli bene come una volta.

Rolling Stone lo ha ricordato con una copertina, con quella che pare essere la sua ultima intervista concessa ad un giornale e con una raccolta di opinioni e ricordi carpiti dalla viva voce di grandi star come Bono, Springsteen, Petty e Chuck Berry, che hanno avuto modo in passato di lavorarci insieme. Come mai manchi tu? Quel giorno hanno telefonato anche a me ma mi sono rifiutato di dire alcunché. Non sopporto quel genere di !issa che si scatena fra le stazioni radio e le redazioni dei giornali ogni volta che muore qualcuno famoso. Che poi quei commenti siano sempre sinceri è da vedersi. Anche in questo caso potrei dirti, a mio parere, chi ha detto il vero e chi no. Bruce Springsteen è stato senz'altro sincero, amava davvero la sua musica; e anche Bono lo è stato, anche qualcun'altro. Ma molti, credimi, vogliono solo essere lì, su quelle pagine. E una forma di presenzialismo che non sopporto. La morte di un amico o di un compagno di lavoro, per quanto egli possa essere un personaggio pubblico, resta un fatto intimo da non rendere pubblico. Non conoscevo Roy abbastanza da potermi ritenere un esperto, però ho scritto alla moglie Barbara dicendole che mi dispiaceva e che le volevo bene.

Chi ha scelto "The Comedians" per il suo nuovo album e per lo show televisivo A Black And White Night?

T Bone aveva prodotto qualche tempo fa In Dreams, un album doppio in cui Roy Orbison, sotto la sua direzione, aveva reinterpretato quasi tutti quelli che erano stati i suoi hit. Quando Roy lo contattò per farsi produrre anche alcune canzoni del suo nuovo album in studio, il primo dopo tanti anni, mi propose di comporre un nuovo pezzo per l'occasione o di adattarne uno vecchio. Ci pensai su e alla fine scelsi "The Comedians," un brano che era finito anni prima sul mio Goodbye Cruel World. Decisi quindi che bisognava modificarlo di quel tanto che bastava a far sì che si adattasse allo stile di Roy. Mi misi al lavoro, ed oltre ad alcuni versi riscrissi parte della musica rallentandola non poco. Furono entrambi molto soddisfatti del lavoro e decisero di utilizzarla sia per lo show televisivo che per l'album.

Chi si prese cura di organizzare quella serata a Los Angeles?

Fu sempre T Bone, a cui avevano affidato il compito di direttore musicale, a combinare il tutto. E fu anche lui a chiamarmi dandomi la possibilità di conoscere uno dei miei tanti idoli. L'ho conosciuto proprio lì Roy, il pomeriggio durante le prove.

Raccontami qualcosa di quel giorno.

Fu bellissimo. Tutti i partecipanti provavano qualcosa di speciale per Roy ed è questo che ha reso davvero unica la serata.

È la prima cosa che salta all'occhio vedendo il video che ne é stato tratto.

Spesso quel tipo di show viene fuori molto falso, sai come succede... Ma in questo caso tu potevi leggere l'emozione sul viso di ognuno. Amore e grande ammirazione fusi in un unico sentimento. Abbiamo provato a lungo quelle canzoni tutt'altro che facili da suonare: sono ballate molto complesse e particolari, quelle di Roy. La loro costruzione e il loro arrangiamento sono molto difficili da eseguire. Sul palco quella sera eravamo molto concentrati, proprio come in un'opera. Ecco, se proprio dovessi dare una definizione della musica di Roy Orbison parlerei di opera: a differenza del semplice rock 'n' roll, con la musica di Orbison non puoi permetterti distrazioni o suonare in scioltezza, tutto é più rigido. Sono rimasto molto impressionato dagli altri musicisti, particolarmente dalla TCB Band, che in passato era stato il gruppo di Elvis Presley. Conoscevo già alcuni di loro in quanto James Burton e Jerry Scheff avevano suonato sul mio Almost Blue, e Ron Tutt era stato il batterista in un album di T Bone a cui avevo preso parte anch'io. C'era poi il pianista Glen D. Hardin che dovevo aver conosciuto anni prima da qualche parte anche se non ricordo esattamente dove. Così mi trovavo a suonare la chitarra ritmica con la band di Elvis. Incredibile! Come un sogno nel sogno. Tutti gli altri, da Waits a Springsteen, erano vecchi amici con cui mi ero spesso incrociato durante i miei tour americani. Di loro mi ha colpito soprattutto lo spirito con cui stavano sul palco e la generosità, perché il tutto, contrariamente a quanto si può oggi dedurre riguardando il video, è durato dodici ore, dall'una di pomeriggio all'una di notte. Le prove sono durate moltissimo, e durante le riprese ci fermavano ogni due, tre brani per permettere agli operatori di riposare e posizionare nuovamente le telecamere. Tutto é stato fatto con estrema professionalità ma anche con grande amore, quasi si sapesse quello che doveva succedere... Fra gli invitati c'erano molte star del cinema e altri artisti come Kris Kristofferson e Leonard Cohen.

A parte l'ammirazione di tutti per Roy e la sua musica, qual é stata un'altra forte sensazione che hai provato trovandoti lì?

Quando ci si incontra fra colleghi, soprattutto nel campo dello spettacolo, capita che ci sia qualcuno che ti sta poco simpatico o a cui non piacciono i tuoi dischi, ma quella sera la particolare occasione mi ha portato a rispettare anche chi non avevo mai apprezzato particolarmente, vuoi solo per un fatto epidermico. Nell'insieme è stato come fare una cena con vecchi amici, perché a parte K.D. Lang, Jennifer Warnes e John David Souther avevo già incontrato tutti prima.

Chi ti ha colpito di più?

Springsteen, senz'altro. È stato grandissimo. Conoscevamo tutti la sua presenza scenica e la sua esuberanza, ed eravamo pronti a giustificarlo se in una simile occasione avesse cercato i riflettori più di altri. Invece sembrava un ragazzino alle prime armi, rispettoso di tutti e soprattutto di Roy nei confronti del quale nutre un'ammirazione che va oltre l'immaginazione. E stato quasi costretto, alla fine, a spingersi così tanto in prima fila.

E Waits?

Lui si é divertito come un pazzo. Rideva in continuazione ed era evidente che era felice come tutti gli altri. Ha suonato quel buffo e pazzo assolo di organo nella maniera più imprevedibile. Forse pensava che nessuno se ne sarebbe accorto, e invece la telecamera è andata a cercare proprio lui in quel momento. Se ci fai caso c'è un attimo di esitazione da parte sua: tutti si girano a guardarlo facendogli capire che tocca a lui, proprio a lui che era completamente fuori e non si era accorto di nulla. Ricordo che partì d'istinto, suonando questo pazzo giro stonato. Nelle inquadrature successive si possono vedere Roy e James Burton che se la ridono divertiti:

E di Costello cosa ricordi?

Mi ricordo tesissimo, quasi fosse la prima volta su di un palco. E proprio vero che in questo mestiere non si finisce mai d'imparare e di sorprendersi. Passi dieci anni a fare concerti e a realizzare dischi e credi di essere arrivato ; poi bastano quattro musicisti un po' attempati per metterti in imbarazzo e per farti capire che sei solo un piccolissimo pezzo nella storia del rock 'n' roll...

A parte i tuoi occhiali, le tue scarpe rosse e la camicia verde, quali album lasceresti ad un adolescente perché possa capire chi è Elvis Costello?

Di sicuro This Year's Model, King Of America e Spike.

E il singolo?

"Watching The Detectives," la mia canzone più completa. Con la speranza che possa essere per lui ciò che "Please Please Me" fu per me.

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Velvet, March 1989


Ermanno Labianca interviews Elvis Costello.

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