RootsHighway, January 28, 2022

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Elvis Costello & The Imposters – The Boy Named If

[EMI 2022]

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   Nicola Gervasini

File Under: Pump it Up Again

Anno 1978, Elvis Costello realizza This Years Model, forse il massimo punto di arrivo di tutto il pub-rock inglese dell’epoca, con quel suo mix di rock americano, ritmi tarantolati della nuova new wave, e pop inglese, che ha reso unico il suo stile. A suonare con lui c’erano Stevie Nieve al piano, e Pete Thomas alla batteria, cioè il 66% degli Attractions.

Anno 2022, Elvis Costello realizza The Boy Named If, un deciso ritorno, 44 anni dopo, al pub-rock, con quel suo classico mix di rock americano, ritmi tarantolati della new wave che fu, e pop inglese, che conferma come unico il suo stile. A suonare con lui ci sono ancora Stevie Nieve al piano e Pete Thomas alla batteria, cioè il 66% degli Imposters (al basso oggi c’è Davey Faragher).

Dove sta la differenza quindi? Non è tanto il fatto che forse questo disco chiude definitivamente il cerchio di una ricerca musicale, che è arrivata a toccare anche jazz e classica prima di tornare alla base dei suoi esordi, quanto che comunque i frutti di questo percorso di 45 anni di carriera si sentono eccome, anche se lo spirito di queste canzoni e i musicisti sono praticamente gli stessi. Costello scherza sulla questione, ribadendo che in fondo una buona idea del 1978, resta tale anche nel 2022 se lo è veramente, ma è ovvio che qui dentro non possiamo più trovare l’urgenza giovanile di brani come Pump it Up o No Action, ma la ragionata esperienza di un uomo che continua a usare l’ironia come lente d’ingrandimento per descrivere la realtà che lo circonda, confermandosi, se mai ce n’era bisogno, come uno dei più intelligenti autori di testi della vecchia guardia.

Per cui, se il tono inevitabilmente nostalgico e passatista del disco resta il più evidente Tallone d’Achille, che magari farà storcere il naso a chi aveva apprezzato l’ecletticità e apertura a nuovi mondi dei suoi ultimi due dischi (Look Now e Hey Clockface, ma aggiungerei anche l’esperienza con i Roots), tuttavia il Costello di The Boy Named If dimostra di essere artista tutt’altro che pronto al pensionamento da routine, perché non è certo possibile raccontare le storie (camuffate da fiabe per bambini in questo caso) in bilico tra cronaca e letteratura di Paint the Red Rose Blue, The Difference, What If I Can’t Give You Anything But Love?, The Man You Love to Hate vivendo in un ritiro dorato. Costello invece continua a vivere tra dischi e concerti come se stesse ancora ricercando il suo punto di arrivo, e questi risciacqui del suo songwriting nel rock originario non sono certo nuovi (in fondo Brutal Youth o Momofuku erano operazioni simili), ma ogni volta ci si trova nuovi elementi nati dalle sue tante ispirazioni, e qui ad esempio non sfuggono le tracce rimaste dalle sue frequentazioni in ambito Roots/Americana del periodo di National Ransom.

Difficile dire quanto possa poi essere un disco importante nell’ambito della sua ormai cospicua discografia (arriva forse troppo tardi per esserlo veramente), ma è certo che The Boy Named If vince la grande sfida di non far sembrare vecchia e polverosa la sua “solita solfa”, e per uno che produce dischi da 45 anni, praticamente senza pause, davvero è un traguardo più che raro.


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Nicola Gervasini reviews The Boy Named If.

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The Boy Named If album cover.jpg

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