RootsHighway, September 2004

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Elvis Costello & The Imposters - The Delivery Man

Lost Highway 2004

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   Gianfranco Callieri

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Dai tempi indimenticabili del lontano esordio discografico, Elvis Costello si è sempre tuffato sui generi con la rapacità di un piranha. Nulla di male, perché per diversi anni l'ha fatto con aguzza intelligenza, nervosa classe e competenza, nonché passione, smisurata. A un certo punto, però, le cose sono cambiate, e all'irrequieto vinil-junkie del primo periodo si è sostituito un elegante signore di mezz'età dedito a esercizi di stile in difetto d'autenticità. Ciò non significa che certi dischi dell'ultimo periodo non siano riusciti o, singolarmente, anche molto belli; mi limito a constatare, con una punta di rimpianto e amarezza, che il Costello davvero imprescindibile si ferma per il sottoscritto a Mighty Like A Rose (1991). The Delivery Man, invece, esperimento roots benedetto dall'imprimatur della statunitense Lost Highway, è un disco da archiviare in fretta. Nemmeno brutto, se vogliamo, né tantomeno mal suonato o congegnato con povertà d'ispirazione, ma senz'altro antipatico, supponente, in sostanza arido e senza cuore. Del resto, non ci sono mezzi termini: il rock'n'roll, e a maggior ragione quello di derivazione country/roots, è un genere - un'attitudine? - in cui la sincerità d'intenti e il senso di necessità sono tutto, o quasi. E, ditemi voi, come si può non sospettare un eccesso di calcolo e malizia da parte di un tizio che flirta col jazz, scrive a quattro mani con Burt Bacharach, discetta di northern-soul ed ha appena finito di comporre una partitura classica in uscita per la Deutsche Grammophone? Chissà, se si pensa che al pluricelebrato King Of America ('86, il parente più prossimo di questo nuovo lavoro) fece seguito, nello stesso anno, un'opera tesa e claustrofobica come Blood & Chocolate, forse il prossimo album ce lo riconsegnerà al massimo della forma. Nel frattempo, tuttavia, riesco a promuovere a pieni voti solo il duetto con Lucinda Williams sul country'n'roll sgangherato e travolgente di There's A Story In Your Voice, non a caso l'unico episodio dove l'Elvis accenni a lasciarsi un po' andare. Tutto il resto è maniera, trastullo retorico, un compito di bella calligrafia ora waitsiana ora più countreggiante dove la stessa presenza della reverenda Emmylou Harris non è resa necessaria da una reale urgenza creativa quanto dal borioso tentativo di realizzare qualche inerte calco sulle canzoni di Gram Parsons. Persino la rinnovata ragione sociale dei fedeli Attractions, ribattezzati "gli impostori", assomiglia a uno scherzo di cattivo gusto. Altri, temo scambiandone la freddezza per eleganza, potranno magari tessere sperticate lodi intorno a The Delivery Man.

Per quanto mi riguarda, resto dell'opinione che molti anni fa Elvis Costello amasse i dischi e amasse soprattutto riproporli al pubblico attraverso il filtro della propria sensibilità e del proprio estro: l'attuale "uomo delle consegne", purtroppo, amerà ancora forse i dischi, ma di sicuro ha smesso d'amare il pubblico


Tags:  The ImpostersThe Delivery ManMighty Like A RoseLost HighwayBurt BacharachDeutsche GrammophonKing Of AmericaBlood & ChocolateLucinda WilliamsThere's A Story In Your VoiceTom WaitsEmmylou HarrisGram ParsonsThe Attractions

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RootsHighway, September 2004


Gianfranco Callieri reviews The Delivery Man.

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