Buscadero, June 1991

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Elvis Costello

Saggio a 37 anni: Costello racconta

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   Guido Chiesa

Please don't let me fear
anything I can't explain
I can't believe
I'll never believe in anything again

Per favore non lasciarmi aver paura
di qualsiasi cosa non possa spiegare

Non posso credere
che non crederò mai più in nulla

  — Elvis Costello da "Couldn't Call It Unexpected"

Non sono un Costello-fan della prima ora. Anzi, la mia passione per lo scorbutico cantautore inglese è cosa ben recente, 1989 o giù di lì, complice uno splendido concerto solista in quel di Long island, New York. In quell'occasione, nel corso di due ore e quaranta di canzoni di rara bellezza, scoprii almeno tre buone ragioni per ammirare Costello, tre ragioni che, devo essere sincero, mi erano sfuggite ascoltando i suoi album.

La prima è la sua intelligenza, davvero notevole, persino troppa. La seconda è la sua capacità di scrivere riff sempre godibili e accattivanti (alla fine di quelle quasi tre ore, le ripetizioni o i momenti di stanca si potevano contare sulle dita di una mano — non male per un concerto solista). La terza è il suo eclettismo: è in grado di suonare e cantare rock, blues, punk, soul, jazz, ecc. come pochi altri sanno fare al giorno d'oggi. C'è una quarta ragione per cui mi piacerebbe amare D.P.A. MacManus: la sua capacità di creare emozioni attraverso la musica.

Sono sicuro che Costello abbia in dote questo raro talento, basta ascoltare certe parti di dischi come Blood & Chocolate, Spike o il nuovo Mighty Like A Rose oppure canzoni quali "I Want You" per rendersene conto. Costello potrebbe essere il più grande scrittore bianco di canzoni romantiche, passionali, emozionali. Ho detto potrebbe e il condizionale è qui d'obbligo, come lo era stato in precedenza a proposito del desiderio di amare un musicista che, invece, sembra far di tutto per non farsi amare.

Il problema, se proprio tale vogliamo chiamarlo, è che Costello è troppo intelligente (dove per intelligenza intendiamo qui l'acutezza dell'acume nonché la capacità di autocritica e ironia). Come Frank Zappa o David Byrne, Costello è uno dei pochi grandi musicisti intelligenti della storia del rock. Ma, proprio per questo, egli vive la contraddizione di chi, avendone la potenzialità, si rifiuta di scrivere canzoni semplici, romantiche e popolari perché si rende conto di quel che succede a chi le scrive, vale a dire possibilità di commercializzazione diffusa, volgarizzazione, massificazione, aumento degli impegni mondani. Così ragionando, Costello preferisce rimanere un artista sostanzialmente elitario, regalando solo in pochi imperdibili momenti la sua arte più umana. Per il resto, Costello continua ad essere personaggio imperdibile, parlatore acuto e maligno, grande musicista in grado di attorniarsi di alcuni tra i migliori strumentisti oggi in circolazione (Marc Ribot, Larry Knechtel, James Burton, ecc.).

Di questo passo, ormai trentasettenne in un universo musicale che privilegia i ventenni oltre ogni dire, Costello rischia di diventare precocemente vecchio, saggio al di là dei suoi reali meriti. Eppure, noi siamo convinti che, da qualche parte, esiste il "grande disco popolare" di Elvis Costello, quello meno intelligente e peggio suonato della sua carriera, ma anche quello in grado di offrire le più genuine emozioni. Chissà se un giorno si deciderà a pubblicarlo, o se, invece, continuerà, da buon snob, a centellinarlo riff per riff, album dopo album?


Il tuo nuovo disco, Mighty Like A Rose, inizia con toni incandescenti per poi regalarci un finale consolante...

Sì, è vero. Parla di cose brutte, del tipo "Dio mio, il mondo è impazzito," ma volevo che andasse a parare da qualche parte, non volevo che finisse col diventare deprimente. Con ciò non pretendo di dire che questo è un "disco a tesi," o cose del genere... — Mi pare che alcune delle canzoni più mordaci dell'album non possano che riferirsi a delle persone reali...

Personalizzare delle canzoni fino al punto di dichiarare per nome e cognome a chi sono rivolte mi sembra un tantino inutile. Non voglio negare che l'impeto iniziale possa essere stato di carattere personale, ma non voglio nemmeno escludere qualsiasi altra possibilità di interpretazione oppure che la gente non possa leggere nelle mie canzoni qualcosa che le riguarda. Le canzoni, per lo più, riguardano nessuno, tutti, qualcuno o chiunque si voglia.

Sei sicuro che nel pezzo "How To Be Dumb" non ci sia alcun riferimento al tuo ex-bassista Bruce Thomas, autore di un libro, The Big Wheel, in cui non ci fai una gran figura?

No, parla di un'altra persona. Quel libro è già abbastanza imbarazzante di per sé, soprattutto per chi lo ha scritto. E la cosiddetta scuola di scrittura "Noel Redding-John Densmore," con frasi del tipo: "Ti ricordi quella volta che abbiamo mangiato panini al formaggio e tutti voi ne avete mangiati quattro e io solo tre?" Alla fine sembra che dica che i dieci anni passati con la band sono stati per lui tristi e avvilenti. A me sembra triste e avvilente che una persona sprechi così dieci anni della sua vita. La cosa più amara è che ti rendi conto che lui è stato per dieci anni con la band perché non sapeva fare altro nella vita. Certamente non sa scrivere libri. Così mi dispiace per lui. Non siamo grandi amici, ma sono certo che gli passerà.

A proposito degli Attractions, sembrava che, a un certo punto, volessi riformarli per incidere Mighty Like A Rose.

È stata un'idea passeggera. Gli Attractions erano un'ottima band. Insieme abbiamo fatto ottimi dischi, poche brutte canzoni e non credo brutti album. Spesso abbiamo reso belle canzoni che non lo erano affatto. Era un gruppo con una grande continuità.

Ti piace attorniarti di grandi strumentisti? Su questo lp c'è il meglio dei session-men oggi disponibili sul mercato.

Io ammiro i grandi strumentisti, soprattutto quando non sono dei virtuosi. Nessuno dei musicisti con cui attualmente lavoro, per quanto siano tecnicamente eccellenti, ama esibire la propria bravura ad ogni pié sospinto. Io non potrei mai lavorare con gente del genere — non c'è spazio per loro nella musica.

Tu sei un grande collezionista di dischi. Che cosa ne pensi del CD?

Non ho nulla contro di esso, anche se mi puzza l'idea che ci facciano comprare due volte lo stesso prodotto. Adoro la musica classica e il jazz in compact disc, ma il vecchio rock non mi convince. Preferisco ancora ascoltare la mia vecchia copia in vinile di With The Beatles che qualsiasi remastering digitale che ne è stato fatto. Ma, d'altro lato, sono adesso disponibili dei CD di Caruso così "puliti" che è finalmente possibile sentire quello che faceva con la voce. È incredibile, è come viaggiare nel tempo: "eccoci nel 1905 e lui è lì che canta, come fosse di fronte a te." È pura magia. Mi piace ascoltare musica, di qualsiasi tipo, vecchia o nuova che sia. Credo di aver incominciato ad ascoltare dischi prima ancora di imparare a camminare. Sono felice quando arriva un qualsiasi nuovo tipo di musica che mi appassiona. Sono raggiante quando scopro una nuova band che mi piace, anche se ciò accade sempre di meno. Ora come ora, vado più spesso nelle sale da concerto che nei rock club. La musica classica è stata l'ossessione dei miei ultimi tre anni. La musica classica ti aiuta a recuperare la misura della tua importanza - o della tua autoimportanza o del tuo desiderio di non considerarti tanto importante - o meglio della tua scarsa importanza, se paragoni il tuo lavoro con quello di certi maestri. E, inoltre, ti offre una prospettiva più umana, più fresca di tutti i tuoi piccoli grattacapi, delle frustrazioni che hai con il mondo degli affari: l'ignoranza della programmazione radiofonica, la necessità dei video, la censura.

Parlando di gruppi nuovi, in Gran Bretagna va di gran moda la recente scena di Manchester. Qual'è la tua opinione in merito?

Posso a fatica capire Londra quale centro dell'universo - nel senso di universo della musica pop, ovviamente, non in quello cosmico. Posso persino capire Liverpool, addirittura Minneapolis, Athens o Akron. Ma Manchester non è il centro di niente! Fatta eccezione forse per la pioggia e pessime squadre di calcio. Mi sono piaciute alcune canzoni degli Happy Mondays, ma, in genere, non sopporto la calcolata noia degli altri. Sembra quasi che non vogliano nemmeno provare a fare qualcosa di buono - quasi che non ci credano nemmeno loro. Del resto, non mi piacciono neanche i gruppi che si prendono troppo sul serio. Non sono mai bravi quanto si credono di essere. Nessuno è mai bravo quanto si crede di essere. Io non sono assolutamente bravo quanto mi credo. Ho una mia teoria sul successo nel campo musicale e, dato che ormai sono vecchio, posso passarla agli altri perché a me non serve più. Basta dichiarare di ritenersi un genio l'80% delle volte. La gente, probabilmente, ti crederà in un 40% delle occasioni, mentre tu, in realtà, sei stato accettabile solo nel 20%. Così facendo, raddoppi il tuo attuale valore. Nel mio caso ha funzionato!

Che cosa ne pensi dei tuoi imitatori?

Era ora, no? Capita a tutti quelli che stanno in circolazione per tanti anni. Sinceramente non conosco molti dei miei imitatori. Me li hanno segnalati, ma li ho ascoltati poco.

Nemmeno John Wesley Harding?

Sì, l'ho sentito. Ma è un disco estremamente noioso. Quel poco che ne ho ascoltato mi sembrava un cattivo demo tape di qualcuno che mi imitava dodici anni fa. Mi dicono che Harding sia una persona squisita, ma non riesco proprio a capire perché voglia a tutti i costi copiare una musica che si è già dimostrata assolutamente non commerciale oltre dieci anni fa.

Non capisco come qualcuno li abbia potuti ingaggiare...

I tuoi testi, di album in album, sono diventati più comprensibili, normali.

Ti annoi a scrivere sempre nello stesso modo. Allora andava bene, era un ottimo meccanismo di difesa, era come fare sempre il furbo. E attirava realmente l'attenzione delle orecchie. Ora non lo disprezzo. Non voglio fare la figura del presuntuoso dicendo che sono maturato. Semplicemente non mi andava più di scrivere in quel modo. D'altro canto, mi sono stufato di leggere la definizione "intenso gioco di parole" in ogni recensione che mi riguarda. Ma dove lo trovano ancora l'intenso gioco di parole? Sembra quasi che continuino a recensire lo stesso disco di sette anni prima. Ma non posso lamentarmi, perché tutti hanno la loro definizione pronta per l'uso: Dylan è enigmatico, Van Morrison è scontroso, i REM sono mistici, Prince è difficile, il mio è "intenso gioco di parole." Sono tutte cariate.

C'è chi dice che tu sia un cinico...

Non credo di esserlo. Non lo sono mai stato. Cinico no, realista forse.

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Buscadero, No. 115, June 1991


Guido Chiesa interviews Elvis Costello.


Paolo Carù reviews Mighty Like A Rose.

Images

1991-06-00 Buscadero pages 44-45.jpg
Page scans.

Cover and page scans.
1991-06-00 Buscadero cover.jpg 1991-06-00 Buscadero pages 46-47.jpg



Mighty Like A Rose

Elvis Costello

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   Paolo Carù

Elvis Costello, diciotto dischi all'attivo (raccolte comprese) dal 1977 ad oggi, è uno dei nostri beniamini.

In Italia non ha mai avuto i riconoscimenti che il suo valore di musicista avrebbe meritato, ma ha raggiunto ugualmente un culto considerevole.

La sua figura, gli occhiali alla Buddy Holly, l'abbigliamento da impiegato non gli hanno certamente permesso di sfondare facilmente nel mondo del rock e se ci è riuscito, dopo esserci entrato attraverso le porte aperte dalla rivoluzione punk, dipende solo dalla sua intelligenza e dal suo modo personale di scrivere canzoni.

Costello ha avuto riconoscimenti dalla critica e da colleghi molto più famosi di lui (McCartney ha voluto che scrivesse con lui, Garcia lo ha lodato apertamente e si è sottoposto ad una intervista incrociata su un numero recente di Musician), ma si è sempre guardato bene dal fare musica commerciale: ha fatto sempre e solo quello che ha voluto, con perseveranza.

Ha avuto dei momenti di creatività brillante (Imperial Bedroom, King of America, My Aim Is True, Armed Forces, Punch the Clock), dei periodi di stasi creativa (Trust, Goodbye Cruel World, il recente Spike) ed ha inciso dei dischi che oscillavano tra la normalità e la genialità pura (Almost Blue, Blood & Chocolate, This Year's Model e l'originale Get Happy), ma non ha mai, dico mai, deluso né si è seduto sui propri allori.

Se non ne aveva voglia non incideva, quando era in forma ha fatto persino due dischi nello stesso anno (nel 1986 con King of America e Blood & Chocolate, distanziati pochi mesi uno dall'altro).

Ora, due anni dopo Spike, disco intrigante, bello ma con troppa carne al fuoco, troppe idee e troppi ospiti, torna con Mighty Like A Rose, un album difficile da penetrare, che ha delle costruzioni armoniche complicate e che si rifà, anche se parzialmente, al grande Imperial Bedroom.

Bedroom era sontuoso nei suoi arrangiamenti, con le tastiere in primo piano e costruzioni melodiche geniali, Rose, dal canto suo, ne imita in parte il costrutto, media molto bene tra easy ed hard listening e ci fa ritrovare il Costello che abbiamo amato maggiormente, il musicista occhialuto intelligente ed ironico, introspettivo ed ombroso, che ha seminato note ed arguzia, musica e cultura nei suoi quindici anni di carriera.

Costello non sfonderà certamente in Italia con questo disco, ma, se non altro, con un buon appoggio dalla sua discografica, potrebbe benissimo uscire da quel culto che ormai gli va un po' stretto, perché lui, che lo vogliate o no, è uno dei grandi del rock contemporaneo, la sua musica ha l'impronta del genio e, a distanza di anni, verrà ancora ascoltata con la stessa costanza e dedizione.

Lo hanno chiamato in tutti i modi: scrittore prolifico, politico, importante, influente, ma, comunque lo vogliano chiamare, comunque lo vogliano inquadrare, Costello rimane uno scrittore, un autore, un personaggio, un musicista con una personalità ben definita.

Mighty Like A Rose è concepito e costruito in America, ma di americano non ha molto, se non la produzione di Mitchell Froom, le tastiere di Larry Knechtel e la chitarra di James Burton, è un disco di Costello, personale ed introspettivo, per nulla esteriore od appariscente, difficile da penetrare ma, una volta che lo si è assorbito, è sicuramente destinato a girare per lungo tempo sul giradischi.

Ho atteso, prima di mettere nero su bianco, ho ascoltato decine e decine di volte l'album in questione, lo ho assorbito e penetrato nei suoi anfratti più oscuri ed ho scoperto canzoni splendide, tristi e sconvolgenti, che un primo, rapido ascolto, non mi aveva fatto apprezzare adeguatamente.

Mighty Like A Rose è un grande disco, uno dei migliori di Elvis, ma va ascoltato a lungo, sentito e risentito, gustato ed assaporato con pazienza: solo allora potrete dire di averlo fatto vostro.

Mitchell Froom ha prodotto bene, non ha inserito nulla di personale (in passato ha lavorato anche coi Los Lobos, Del Fuegos e Crowded House), ha solo consigliato a Costello il pianista Larry Knechtel e ha fatto bene, molto bene.

Larry Knechtel, ormai oltre i cinquanta, è uno dei grandi pianisti della storia del rock, fin dagli anni sessanta, fin dalla sua militanza coi Bread: ha suonato in centinaia di dischi, ha scritto una grande pagina della storia della nostra musica offrendo le sublimi tastiere a "Bridge Over Troubled Waters" di Simon & Garfunkel: non ha il nome di Nicky Hopkins, ma è uno dello stampo di Nicky Hopkins.

Ora fa parte della band di Elvis, The Rude 5, assieme a Jerry Scheff, Marc Ribot e Pete Thomas.

Oltre a Knechtel, Elvis ha voluto nel suo disco gente di nome, forse non conosciuti ai più, ma sicuramente molto bravi: James Burton e Jerry Scheff (due grandi, chitarra e basso rispettivamente, che hanno suonato a lungo nella band di Elvis Presley), Marc Ribot (chitarrista per Tom Waits), Pete Thomas (ex Attractions), Jim Keltner (batteria, come Pete, già nella band di Ry Cooder), il padre Ross MacManus, la Dirty Dozen Brass Band, T-Bone Wolk (produttore del bel disco di Willie Nile, ex Hall & Oates band), Benmont Tench (della band di Tom Petty), Fiachra Trench (già collaboratore in studio di Van Morrison), il grande Rob Wasserman, l'amico Nick Lowe e l'ex Alpha Band Steven Soles.

EC ha scritto tutto il materiale di Mighty Like A Rose, con l'eccezione di "Broken" (scritto dalla sua donna, l'ex Pogue Cait O'Riordan), "Hurry Down Doomsday" (scritta a quattro mani con Jim Keltner), "So Like Candy" e "Playboy To a Man" (entrambe scritte con Paul McCartney).

"The Other Side of Summer," che apre il disco, è un raro brano solare: sa di California, coi suoi coretti orecchiabili, ma è anche intenso e godibile, piacevole e ben strutturato. Estiva, canticchiabile e, perché no, radiofonica.

Il brano è stato scelto come singolo ed ha preceduto l'uscita dell'album di circa 15 giorni (a proposito, costellozionisti attenzione: il singolo contiene l'inedita "The Ugly Things," scritta da Nick Lowe).

"Hurry Down Doomsday (The Bugs Are Taking Over)," scritta con Keltner, sta tra Tom Waits e la tecnologia-rock di Stan Ridgway. Introversa.

"How To Be Dumb" è una grande canzone, alla Imperial Bedroom, con il piano di Knechtel in evidenza, in cui la voce di EC va di pari passo con il tintinnare delle tastiere, mentre il ritmo del brano si fa via via sempre più incalzante. Superba.

"All Grown Up," lenta e rilassata, Knechtel sempre molto attivo, ha un bell'arrangiamento di Fiachra Trench e dei testi splendidi. Rilassante.

"Invasion Hit Parade," sarcastica e difficile da penetrare, è un'altra composizione che discende da Imperial Bedroom. Bello l'intervento alla tromba di papà MacManus.

"Harpies Bizarre," clavicembalo e clarinetto in evidenza, gli Harpers Bizzarre in mente, classicheggiante al ritmo di minuetto, dolce e tagliente al tempo stesso. Bizzarra.

"After the Fall," sussurrata, interiore, racconta di un incontro a due, delle bugie di lei, dell'imbarazzo di lui. Splendida e tenue. Altra grande canzone.

"Georgie And Her Rival." Allegra, è un racconto agile, quasi spensierato, sullo stile del primo Costello, con fiati e tastiere (sempre Knechtel sugli scudi), che riprende temi già noti con la solita, smisurata, classe.

"So Like Candy," dopo "Veronica" e i quattro brani apparsi su "My Brave Face" di Macca, riprende la collaborazione tra i due Mc (Cartney e Manus, ovviamente), ed è la più convincente tra le canzoni scritte a quattro mani dai due luminari.

"Interlude: Couldn't Call It Unexpected N. 2" è un breve strumentale della Dirty Dozen Brass Band.

"Playboy To a Man" continua il binomio Mc & Mc, con maggiore energia e meno introspezione rispetto a "Candy." comunque un sano rock costelliano, pluristrumentato. "Sweet Pear." C'è più rilassatezza, la ballata è composta ed unitaria, con la strumentazione ricca che gira attorno alle voci e la chitarra di EC che ricama amabilmente, mentre il piano di Knechtel ed i fiati della Dirty Dozen completano adeguatamente il tutto.

"Broken," composta da Cait, è una ballad intensa e molto triste, poco strumentata e decisamente interiore. "Couldn't Call It Unexpected N. 4" conclude il lavoro con il suo andamento di valzerone lento, con la voce quasi declamatoria dell'autore, un banjo (courtesy Mr. Ribot), ed una strumentazione volutamente retrò. Nostalgica. Un disco intenso, pieno di idee, suoni, voci, strumenti, ricco di canzoni da assaporare lentamente: insomma Mighty Like A Rose è uno di quei lavori che si gustano centellinando una nota dopo l'altra. Raro e prezioso.



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Magazine scans thanks to Fulvio Fiore.

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