Velvet, March 1989

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Elvis Costello — the Velvet interview


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   Ermanno Labianca

Non sai più come chiamarlo, il signor Declan MacManus. Sta mettendo in fila, album dopo album, i nomi che gli torneranno utili per la prossima ruota della fortuna, e fa fatica persino lui a dirti con quale vorrà essere ricordato quando le luci del circo si saranno spente. Oggi è the beloved entertainer, un parente stretto di Napoleon Dynamite e del coward brother. Un impostore che si diverte ancora a fare le boccacce ai giornalisti e che continua a giocare con le sue canzoni come fossero pezzi di un mosaico da ricomporre ogni volta in maniera diversa. Consegnato il pop agli anni Settanta, smaltite le sbornie soul e country & western, Elvis Costello prova adesso a mettere d'accordo, con Spike, New Orleans e Dublino, il basso e la chitarra Rickenbacker di Paul McCartney e Roger McGuinn, il folk e la classica.

A chiarire le idee, ci pensa lui, fra un ricordo di infanzia e un delicato addio a Roy Orbison, smesse per l'occasione la maschera e le battute da clown. Testimoni una terrazza prestigiosa che fa apparire Roma notevolmente più bella del cantiere che è diventata, una Cait O'Riordan che sonnecchia dietro le pagine di un libro più grande di lei e una copia autografata di "Watching The Detectives" da mostrare un giorno ai nipoti quando di questo strambo personaggio si dirà che è stato uno fra i più geniali compositori del secolo precedente.


A cosa si deve la tardiva scoperta delle tue radici irlandesi? Su Spike, il tuo nuovo album, oltre a tua moglie Cait O'Riordan ci sono musicisti del circuito folk come Christy Moore, Davy Spillane e Steve Wickham.

E stato un processo molto lento, devo riconoscerlo, ma prima d'ora non avevo mai composto canzoni a cui ben potessero adattarsi suoni e strumenti irlandesi. Ho sempre amato — anche se non in tutte le sue forme espressive — la musica tradizionale irlandese, e se un punto di contatto con il mio fare musica è giunto così in ritardo si deve anche ai pregiudizi di cui ero carico agli inizi della mia carriera. Consideravo i musicisti folk inferiori a chiunque componesse materiale proprio — bello o brutto che fosse — anzichè rifarsi alla tradizione. E sbagliavo. Perché pian piano, oltre alle mille sfumature che quel particolare genere musicale possiede, ho iniziato ad apprezzare e conoscere i musicisti scoprendoli sensibili, preparati e ricchi di talento. Il mio era un atteggiamento che oggi condanno senza mezzi termini, ma ci vuole tempo per tutto, anche per imparare a distinguere il bene dal male senza farsi condizionare dalle apparenze.

E oggi sei talmente sicuro da permetterti addirittura l'inserimento di piccoli tasselli (l'Irlanda nella tua musica...

E un fatto naturale che prima o poi doveva accadere. Ovunque nella mia casa c'erano dischi tradizionali durante gli anni della mia adolescenza. Spike, pur spaziando spesso ben oltre il folk irlandese, è l'album che più riflette i suoni della mia infanzia. Suoni che si perdono nei ricordi ma che sono sempre stati vivi dentro di me.

Saresti in grado di metterne a fuoco qualcuno?

Non è facile, ho ascoltato tantissima musica da ragazzino. Talvolta mi fissavo su un brano in particolare e non ascoltavo che quello per giornate intere.

Deve essere nata lì la tua passione sfrenata per i singoli.

Ma è durata poco, almeno da ascoltatore, perchè per me è come se tutto si fosse fermato al 1966. Da allora la pop music è andata impoverendosi: band come i Quicksilver Messenger Service, poi l'hard rock, poi ancora il progressive rock e gli assolo interminabili non fecero che allontanarmi definitivamente da quel mondo, portandomi a comporre in prima persona per reagire a quello stato di cose. Non ho mai smesso, certo, di ascoltare dischi, ma oggi lo faccio con più distacco e meno eccitazione; ci vuole davvero qualcosa di speciale perchè io mi concentri su produzioni degli anni Settanta e Ottanta. E solo che si ascoltava grande musica quando ero un ragazzino. La country music su tutto; poi il soul e i singoli della Tamla Motown che presero il posto del pop bianco nei gusti dei giovanissimi. Ricordo con piacere i numerosi hit degli Who, dei Kinks e di Dusty Springfield, ma poi, quando tutti si interessarono al concetto di album, per me fu la morte.

Ti ricordi il primo disco acquistato?

Fu "Please Please Me" dei Beatles il primo in assoluto. Fui in seguito molto avvantaggiato nel mio apprendimento poichè mio padre — che era cantante nell'orchestra di Joe Loss, il Glenn Miller inglese — riceveva a casa dischi di ogni genere che venivano a lui spediti dai vari autori, speranzosi di vedere una delle loro canzoni ripresa dal vivo o portata in qualcuno dei radio show a cui partecipava. La mia passione per i Beatles nacque allora: la Northern Song, la casa di edizioni che pubblicava i loro brani, per le ragioni che ti ho appena detto inviava a casa mia gli acetati dei singoli del quartetto prima ancora che il vinile fosse disponibile nei negozi. Li conservo ancora gelosamente anche perché ormai preziosissimi, ma nello stesso cassetto credo ci siano anche la tessera di un loro fan club di Londra a cui ero iscritto quando avevo undici anni o giù di lì e tutte le riviste a loro dedicate che mi giungevano a casa puntualmente il 15 di ogni mese.

Avresti mai immaginato allora di lavorare un giorno con Paul McCartney?

Qualsiasi cosa ti rispondessi sarebbe priva di senso. Mi crederebbe qualcuno se ti dicessi sì? La vostra collaborazione ha fruttato due brani per Spike ma pare debba continuare.

Come siete giunti a questo?

Lo incontrai per la prima volta in uno studio di registrazione dove io ero con gli Attractions e lui con Michael Jackson. Scambiammo poche parole e ci lasciammo dicendo che ci saremmo risentiti. Non successe nulla di concreto almeno sino allo scorso anno, quando fu lui a chiedermi di scrivere qualcosa insieme. Andai a trovarlo nel suo studio di registrazione con la paura di andate incontro ad un mezzo fallimento: non sempre quando ci si incontra fra artisti con la ferma intenzione di comporre musica si riesce a trovare la giusta intesa.

Fu per quello, e non certo per presunzione, che portai con me un nastro su cui avevo inciso alcune idee per due possibili brani. Tutto andò come avevo previsto, cioè malissimo. Trascorremmo le prime due ore parlando o suonando vecchie canzoni, ma idee, quelle niente! Fu solo allora che tirai fuori quella cassetta dicendo a Paul che avremmo potuto lavorare sui miei due brani. Mi aiutò a finirli e a trovare il giusto arrangiamento. Erano proprio "Pads, Paws And Claws" e "Veronica." Ecco perché sono firmate McCartney/Mac Manus.

Si è detto della possibilità di un album insieme...

Abbiamo un'altra decina di brani pronti. Sono tutte ottime canzoni che abbiamo composto non appena abbiamo ultimato il materiale per Spike e in una condizione di confidenza maggiore, ma escludo la possibilità di un album insieme, almeno per il momento. Quel che so per certo è che Paul ha intenzione di utilizzare alcuni di quei titoli per il suo prossimo LP.

Cosa provi oggi quando Paul afferma che lavorare con te gli ha fatto ricordare i tempi in cui al suo fianco c'era Lennon?

Una soddisfazione enorme.

Hai provato a spiegarti un simile accostamento?

Non sono John Lennon e lavorando con Paul ho sempre evitato di pensare a ciò che avevano fatto i Beatles insieme. Per lavorare meglio ho dovuto eliminare quella barriera psicologica che inevitabilmente si sarebbe venuta a creare fra me e lui che è sempre stato un mio idolo. E anche per questo che, giustamente, non tutto è stato rose e fiori fra noi due. Forse Paul ha detto quello che ha detto perché lavorando con me ha provato lo stesso tipo di tensioni che esistevano fra lui e John Lennon. Tensioni forti ma positive. Se non scatta quel tipo di scintilla è difficile lavorare con altri. Credo che l'aver portato quel nastro in studio con me sia stato il primo segno della mia intenzione di lavorare alla pari, senza quella riverenza che mi avrebbe magari portato ad incidere un brano mediocre solo perché era firmato da Paul McCartney. Non era una forma di snobismo la mia, ma solo una dimostrazione di realismo. Paul ha capito le mie intenzioni e si è reso conto che non avrebbe avuto a che fare con un fan imbambolato. Solo il primo giorno ho dovuto rompere il ghiaccio cercando gli spunti adatti a riempire i momenti di imbarazzo.

Di cosa parlavate in quei momenti?

Del più e del meno, ma era sempre la musica il nostro argomento preferito: come il riscaldamento degli atleti prima di scendere in campo. Gli ho confessato di non amare particolarmente Buddy Holly, e non per il semplice fatto che spesso, agli inizi della mia carriera, un po' per l'aspetto fisico, un po' per chissà cos'altro, qualcuno mi ha accostato a lui. Ho cercato di spiegargli che quando ero un ragazzino Buddy Holly — che insieme a Little Richard è uno dei più grandi idoli di Paul — mi sembrava tremendamente fuori moda. Con gli anni ho cambiato in parte idea, ma continuo a preferirgli Chuck Berry. Ho anche raccontato a Paul di quando appresi con meraviglia che "Roll Over Beethoven" l'aveva scritta Chuck Berry e non George Harrison!

Il tuo modo di comporre sembra cambiato negli ultimi anni: è un'impressione giusta o erano gli Attractions con il loro stile a mascherare le differenze strutturali fra i vari brani rendendo tutto più omogeno?

Ci sono due modi differenti di vedere quest'aspetto. È senz'altro un bene quando la tua musica tende ad essere caratterizzata da un piccolo gruppo di musicisti: tutto viene reso più fruibile e meno contorto; ma al tempo stesso più provi ad "aprire" un brano, arricchendolo con l'immissione di altri strumenti, e più sarà facile "leggerlo," provando ad intuire il ruolo e il significato di ogni singolo strumento. Spesso con gli Attractions al completo lo humor di alcuni brani veniva sommerso fino a perdersi nel sound aggressivo della band. Non preferisco una cosa all'altra, sono differenti fra loro. Sono orgoglioso di Blood & Chocolate così come lo sono di Spike, un album in cui sono riuscito ad incorporare, divertendomi, i suoni più immaginativi che mi passavano per la mente durante le registrazioni. E una cosa difficile da realizzare con una band ristretta perché quello che guadagni in coesione lo perdi talvolta in creatività. In passato mi piaceva ottenere quel suono "chiuso" in se stesso che si può ascoltare oggi in Blood & Chocolate ad esempio. Lo dico senza togliere nulla agli Attractions che sono una band in grado di ottenere splendidamente suoni raffinati e delicatissimi, perché quello era lo stile adatto a certe canzoni.

Ma così facendo, inserendo cioè diversissimi strumenti e musicisti all'interno dei tuoi album, stai via via prendendo le distanze dai tuoi stessi album del passato — mi riferisco in particolare al 'pure pop' di This Year's Model, al country di Almost Blue e alle divagazioni Stax di Get Happy — che, pur diversissimi fra loro, avevano come comune denominatore la ricerca di un suono "unico" che li caratterizzava.

Non credo più che debba esistere all'interno di un album un tema musicale "unico." L'ho fatto in passato e non escludo di poter tornare a farlo, ma attualmente sono più interessato ai mille modi diversi con cui ci si può accostare ad una canzone. Nell'ultimo album è stata l'imprevedibilità ad avere la meglio sulla razionalità; prendi ad esempio il lavoro che ha fatto la Dirty Dozen Brass Band nei quattro brani a cui ha partecipato: in uno, "Deep Dark Truthful Mirror," fa più o meno ciò che la gente si aspetterebbe, ma su "Stalin Malone," lo strumentale, ho voluto che quei musicisti, contrariamente alle loro abitudini, leggessero la musica. Nelle altre due song c'è una sovrapposizione di strumenti tale da renderle uniche. Quel che abbiamo cercato di fare è stato prendere le mie canzoni e portarle a New Orleans, e non è stato come pretendere che dei musicisti locali venissero in studio da me in California, Inghilterra o Irlanda; portando loro le mie canzoni ho chiaramente fatto capire che si trattava di uno scambio e non di un semplice acquisto. Credo che non si sia mai ascoltato prima qualcosa come "Miss Macbeth" o "Chewing Gum": è una mistura, esattamente ciò che il rock'n'roll ha sempre significato per me, perché un disco di r'n'r non é tale solo se in copertina ci sono un figuro con i capelli imbrillantinati e una scritta rosa confetto. Rock'n'roll é anche altro. Ci fossero più ponti fra le differenti culture e i diversi paesi la gente non sarebbe così diffidente. Raccontarsi storie scambiandosi le musiche é un grande segno di fratellanza.

Avevi previsto tutto o molte idee ti sono venute in studio?

Tutto, dagli arrangiamenti agli strumenti da utilizzare, era stato deciso prima di iniziare le session. lo, T Bone e Kevin Keelan ci siamo riuniti ed abbiamo deciso quali strumenti inserire in ogni canzone affinchè ognuna di esse vivesse nel giusto modo. Come gli arrangiatori per orchestra, abbiamo cercato di creare il clima adatto ad ogni canzone. Sono stati i singoli brani a determinare la scelta di alcuni strumenti, e non viceversa, poi si é trattato di attaccarsi al telefono e chiamare uno per uno tutti i musicisti che più ci sembravano adatti. Ci è voluto un mese per prendere tutti i contatti, e in qualche caso ce l'abbiamo fatta grazie ad un pizzico di fortuna.

Chi ti conosce sa che sei stato un grande amante dei Byrds e di Gram Parsons e potrebbe quindi dare un significato particolare alla presenza di Roger McGuinn e della sua Ricicenbacker 12 su ."..This Town...." Come sei arrivato a scegliere proprio lui per quella parte?

Il suo é proprio uno di quei casi fortunati a cui accennavo prima. Eravamo entrambi a New Orleans, io per registrare le parti dei fiati e lui per alcuni concerti. Andai al suo show e al termine qualcuno ci presentò. Dovevo aver bevuto abbastanza, perché T Bone mi ha poi riferito che ho detto qualche fesseria di troppo. Ma erano vent'anni che aspettavo di conoscere Roger! L'indomani pregai T Bone di contattarlo perché io potessi salvarmi la faccia e, con l'occasione, invitarlo a partecipare all'album. Mi sarebbe dispiaciuto lasciargli una brutta immagine di me.

E lui?

Lui accettò senza esitare facendomi il più gradito dei regali.

Considero Roger un musicista in avanti rispetto ai tempi. Quello che più di altri ha influenzato le decine di guitar band di cui oggi tutti parlano. Parafrasando ciò che Charles Mingus disse di Charlie Parker ("Se Charlie Parker fosse un pistolero ci sarebbero pochi sassofonisti in giro," N.d.R), direi che se Roger fosse un sicario ci sarebbero ovunque i cadaveri di R.E.M. e gente simile. Non che Stipe e compagni non valgano, ma è per dare a Roger — uno fra i musicisti meno citati quando si tratta di parlare di radici e influenze — ciò che realmente si merita. Se non fosse esistito lui oggi ci sarebbe il vuoto.

Sei fra gli artisti britannici che sono pri-





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Ermanno Labianca interviews Elvis Costello.

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