MILANO, È un’impressione strana, un connubio quasi stridente, indecifrabile: eccolo qua, il rocker Costello, dalla New Wave anni Settanta alla musica classica. Sul palco del teatro Orfeo, per il primo appuntamento della bella rassegna "Suoni e Visioni" organizzata dalla Provincia di Milano, si celebra The Juliet Letters. Uno spunto bizzarro, suggerito da un altrettanto curioso fatto di cronaca; la storia di un professore veronese incaricato di rispondere alle missive mandate, da tutto il mondo, a Giulietta Capuleti. Una corrispondenza rivolta a una donna immaginaria, persa in un’epoca lontana, simbolo immortale di amore contrastato: e i mittenti confidavano a questa mitica figura storie di passioni difficili e matrimoni obbligati. Il professore leggeva, rispondeva e consigliava.
Costello ha preso la palla al balzo: ecco allora nascere i testi di The Juliet Letters, sorta di panoramica delle varie forme che una lettera puð avere. A una simile idea di partenza corrisponde un’altrettanto insolita forma musicale: niente chitarre, né batteria, bensì il grave accompagnamento di un quartetto d’archi d’estrazione "colta," The Brodsky Quartet. Classica, pop, "crossover" o che altro? Elvis taglia corto e semplifica: "Soltanto canzoni scritte per un quartetto d’archi" E basta.
Ascoltiamole allora, queste inconsuele canzoni, dove la voce "maleducata" di Costello alterna morbidi momenti e aspre impennate su uno splendido tessuto di viola, violino e violoncello: non è, il suo, un canto pulito e ben impostato, si adatta piuttosto agli umori dell liriche così come l’interpretazione gestuale. Ironico in "I Almost Had a Weakness," secca riposta di un’arcigna zia alle richieste di un parente; più drammatico nella disperata ricerca d’amore di "Taking My Life in Your Hands" o nei propositi di suicidio contenuti in "Dear Sweet Filthy World." La scena e scama e austera. Costello sta al centro, circondato dai quattro musicisti: leggil e luci spartane creano un’atmosfera raccolta e un po’ seriosa, rotta dalle brevi presentazioni del protagonista, che snocciola battutine e veloci aneddoti. La musica spazia fra stili e generi, alternando attimi di eterea sospensione ("Why?") a citazioni "beatleslane" ("The Letter Home") e frammenti di purissimo pop ("Jacksons, Monk and Rowe"); il Brodsky Quartet è perfetto nei suoi interventi, mentre Costello appare quasi stupilo dell’entusiasmo della platea, che accoglie l’esperimento senza perplessità alcuna. Applausi a getto continuo, quindi, degli oltre mille convenuti, che richiamano a forza l’atipico quintetto: Elvis regala un inedito, poi ripesca dal suo infinto repertorio la struggente "Almost Blue" e una bella versione di "More Than Rain" di Tom Waits. Frenetico Costello, già immerso in mille programmi; un nuovo disco, Idiophone, un album di "cover" dagli anni Trenta ai Settanta Kojak Variety, e la colonna sonora per un musical inglese sono i suoi più immediati impegni.
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