Il 1993 ha trovato il suo primo capolavoro. The Juliet Letters a firma Elvis Costello & The Brodsky String Quartet si merita a tutti gli effetti questo appellativo così impegnativo. Diciannove nuove canzoni di Declan MacManus interprete con il solo ausilio di un quartetto d'archi di estrazione classico-contemporanea: detto così l'incontro fra queste due realtà musicali così diverse potrebbe sembrare un progetto pretenzioso; eppure qui è la semplicità a farla da padrona, complice di una ricercatezza armonica solo apparentemente incompatibile.
Costello sembra per certi versi il Brian Wilson di Pet Sounds e di Smile, un sensibile e talentuoso ricercatore delle possibilità armoniche, melodiche e timbriche della popular music, con un orecchio alla tradizione americana di Aaron Copland e George Gershwin e l'altro alle sperimentazioni, da Schoenberg a Steve Reich, senza dimenticare la musica da film. Eppure a metterlo su carta questo lavoro sembra sempre una cosa difficile, cervellotica, ma infondo è solo (bugia...) un disco di splendide canzoni pop, alcune delle migliori mai scritte da Napoleon Dynamite, e mi riferisco in particolar modo alla meravigliosa "Who Do You Think You Are?" ma anche all'iniziale "For Other Eyes" e "Jacksons, Monk And Rowe" improbabile ma riuscitissimo incrocio fra Van Morrison e le evocazioni schubertiane del quartetto Brodsky.
Tutti stralci di una sorta di suite lunga circa un'ora per voce ed archi ispirata alla storia vera di un professore veronese che rispondeva alle lettere mandate ad una donna immaginaria (e per di più morta..., scrive Costello nelle note di copertina) come Giulietta Capuleti, elevata dall'immaginazione comune a paladina degli amori impossibili. Un disco di musica sincera, vera; scritta, arrangiata ed eseguita nel rispetto totale di un'onestà artistica sempre più rara. Complimenti.
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