Corriere della Sera, October 21, 2018

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In musica non ho piani (tanto poi si svanisce)


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   Sandro Veronesi

Elvis Costello torna, dopo otto anni, con un disco di inediti. Uno scrittore che si è fatto quattro-playlist-quattro con i suoi brani, lo incalza su tutto. A cominciare dall'importanza dello sguardo e per finire con i libri

Conversazione di Sandro Veronesi con Elvis Costello

Sono passati otto anni dalla comparsa di National Ransom, che se non sbaglio è l'ultimo suo disco di inediti. Otto anni sono tanti, il mondo è cambiato parecchio. È cambiato pure lei?

Nel 2010 ho cominciato a pensare che il palcoscenico fosse l'unico luogo in cui le mie canzoni dovessero esistere. Steven Mandel e Questlove la pensavano diversamente e il risultato è stato Wise Up Ghost. Un paio d'anni dopo T Bone Burnett mi ha chiamato per chiedermi di far parte di un gruppo che scegliesse e registrasse un file di testi inediti di Bob Dylan. Inviti del genere possono farti cambiare idea.

Il disco è molto ispirato, e contiene alcuni pezzi che vanno a finire dritti nella mia playlist chiamata The very Best of Elvis Costello, di cui parleremo dopo: qual è la sua genesi?

In parte viene dalla comprensione che now, ora, fosse il tempo giusto per un disco sul quale ho sognato e fantasticato per oltre vent'anni. Ma now era anche l'occasione di mostrare quello che The Imposters erano in grado di apportare a questa selezione di pezzi mediante una registrazione in studio.

L'album s'intitola Look Now, e tra le canzoni che contiene non c'è una title track. C'è però un pezzo che s'intitola Don't Look Now. Che cos'è che bisogna guardare o non guardare, ora?

Il titolo dell'album è una specie di richiamo d'attenzione, un modo di dire come: «Here we are, now», ma si riferisce anche a una raccolta di sguardi contenuta in queste canzoni, che vengono dalla gente e vanno verso la gente. Sono sguardi di ammirazione, di stima, di valutazione, di desiderio, di giudizio e anche di cattive intenzioni. Sta a chi ascolta decidere cosa ci vede, cosa ci sente e cosa prova al riguardo.

Da The Attractions a The Imposters: li sceglie lei i nomi dei suoi gruppi?

Mi piacciono i nomi che sembrano venire da una locandina del vaudeville.

Torniamo indietro, agli inizi. Che ragazzo era, negli anni Settanta, quando viveva a Londra e a Liverpool? C'era già la tragic waste of brutal youth (tragico spreco di una brutale gioventù)?

Sono figlio unico, e perciò ho sempre avuto un sacco di tempo per starmene da solo con i miei pensieri. Un giradischi in questi casi può essere un grande amico. Quel verso di Favourite Hour non è riferito agli anni della mia giovinezza.

Suo padre musicista, sua madre che vendeva dischi. I 45 giri. L'entertainment. Come si combinavano le sue radici con la scena musicale di quegli anni?

C’è stato un tempo in cui mio padre se ne stava nella stanza di fronte alla mia a cantare a voce molto alta sopra ai dischi della hit parade, per imparare i pezzi a memoria in modo da poterli rifare in radio o nelle sale da ballo. Erano le stesse identiche canzoni che i miei amici ascoltavano nelle loro camerette, con i genitori fuori dalla porta a ordinargli di abbassare il volume. Sono cose che cambiano il tuo punto di vista riguardo a chi appartiene veramente la musica.

Una delle definizioni di punk più interessanti che abbia incrociato è quella di «non-elaborazione», cioè di azzeramento, diciamo così, della distanza tra idea iniziale e risultato finale. Lei è stato accostato al punk, all'inizio, ma la sua musica è sempre stata molto elaborata. È dunque fuorviante quell'accostamento? O ha un fondo di verità?

Spesso, invece di utilizzare pen sieri o sentimenti reali, si usano queste etichette coniate da persone che hanno paura di Otiere giudicate Incapaci di capire le nuove idee. Lu gente dl vero valore non me mai veramente servita, perché era troppo coinvolta. Anch'io mi sono sentito così. Non c'era proprio tempo dl stare a pensare a queste definizioni. C'era da lavorare.

Che cos'è l'innocenza, per lei?

Uso le parole di Tom Waits e Kathleen Brennan: You're Innocent When You Dream (sei innocente quando sogni).

Tanti anni fa (temo più di 25) ho letto un'intervista in cui diceva che la canzone che più le piaceva tra quelle scritte fin lì era Watching the detectives. Qual è ora la sua preferita? Sempre quella?

Credo che Watching the detectives sia stata la prima vera registrazione che abbiamo fatto. Fino a lì le registrazioni erano state quattro o cinque persone che suonavano in una stanza, una botta e via. Detectives è stato il primo brano per il quale lo studio di registrazione è diventato la dimensione ulteriore del gruppo. Da lì in poi questo è successo un’infinità di altre volte, con gente come Nick Lowe, Geoff Emerick, Clive Langer, T Bone Burnett, Steven Mandel o Sebastian Krys alla consolle.

Io ho quattro playlist con le sue canzoni: The Best of Elvis Costello (140 brani); The Very Best of Elvis Costello (40 brani); The Ultimate Best of Elvis Costello (20 brani); The Paramount Best of Elvis Costello, con cinque brani soli: posto che credo di essere un suo standard-fan, perché non prova a indovinarne almeno tre? Non è difficile.

Penso che potrei, sì, ma a che scopo? Meglio sorprendere con canzoni più in ombra.

Lei nel corso della carriera ha attraversato i generi forse più d’ogni altro: punk, rock&roll, reggae, classica, country, blues, jazz... Ha mai sentito d’appartenere a uno di essi in particolare o la sua identità di musicista è davvero «sparsa» dappertutto?

Non ho mai sentito le definizioni che ha usato come caselle da spuntare o come una scatola nella quale sedermi mentre si chiude il coperchio. Tutto quello che ho fatto è stato dettato dalla curiosità e dal sentimento. Non c’è mai stato un piano, non c’è mai stata ambizione. Una cosa portava a un’altra. Una specie di educazione — migliore che andare al college.

La polli ica. Lei non se ne è certo mai tirato indietro, e molte sue canzoni sono poli-tiche in senso diretto, letterale. Che cosa ha comporta-to? Ha subito conseguenze?

Le mie canzoni non sono manifesti o slogan politici, ma qualche volta presentano un dilemma — come per esempio Shipbuilding — o un elenco di chiacchiere, segnali che si sovrappongono e confusione di eventi — come in pezzi tipo Bedlam o One Bell Ringing. Ci sono stati e ci sono ancora Paesi nei quali esprimere dissenso è un’occupazione pericolosa ma, parliamoci chiaro, che cos’è che può capitare a me? Possono eliminare una canzone da una playlist o non comprare il biglietto di un concerto. Il mondo smette di girare, per questo? Oppure potrei essere trattato con condiscendenza da qualche commentatore politico, portavoce di opportunisti eletti. Di quelli che usano slogan triti e ritriti e semplificazioni insulse e provocatorie. Chi scrive canzoni riporta tutti i punti di vista. A volte la gente ti interrompe, ti fischia o se ne va. Si tratta di una risposta spaventata di fronte a un altro modo di pensare. Sono così sbiaditi i colori delle loro bandiere? Così fiacche le loro convinzioni da poter essere cancellate da uno che canta una canzone?

Visto che la sua preghiera di sopravviverle è stata esaudita, ha mai trumped the dirt down, calpestato lo sporco, anche solo simbolicamente, sulla tomba di Margaret Thatcher?

Quella canzone parlava più di un veleno che di una singola persona. Fai di te stesso un simbolo o un'ideologia e rinunci alla tua umanità.

C'è una parola che le viene spontanea, o una frase, per definire la situazione politica attuale nel mondo occidentale?

«Legittimato»: mi pare colga l’egoismo che è stato estratto dalla gente con l’inganno. Siamo ben lontani dal massacro e dalla desolazione della metà del Novecento ma quelle generazioni erano più stoiche rispetto alle proprie privazioni. Anche le catastrofi di quei decenni erano il prodotto del voler dare a tutti i costi la colpa a qualcuno ma c’erano meno opportunità di amplificare questa tendenza e i segnali di allarme non furono colti. Adesso abbiamo la Silicon Valley a darci una mano, un’empia alleanza tra gli inganni di Madison Avenue e l’avidità di Wall Street, coperta da una sottile patina di sensibilità sociale mascherata da progresso evolutivo.

Almost Blue è diventata un vero standard della musica jazz: ho provato a controllare ma non si riesce nemmeno a capire quante cover ne siano state fatte. Quello che salta agli occhi, però, è che la maggior parte delle cover è stata fatta da donne: l’ha sorpresa, questo?

Non posso dire di averle sentite tutte ma amo molto il preludio che mia moglie Diana (la musicista jazz Diana Krall, ndr) ha composto come introduzione al pezzo e la sorpresa che mi ha fatto cantandomela alla Royal Albert Hall. E poi l’interpretazione dal vivo di Chet Baker, a Tokyo (nel 1987, nel suo ultimo concerto prima di morire, ndr): un sogno che si è avverato.

La sua voce sempre un po’ rotta che arriva dappertutto. Il suo vibrato. È un dono puro della natura o ci ha lavorato sopra?

Il tempo e il fraseggio delle mie prime canzoni mascherava la presenza di un vibrato naturale — che io sospetto essere la conseguenza di una malattia infantile, o derivare da una piccola, innocua malformazione cardiaca. Molti cantanti famosi avevano un vibrato molto pronunciato: Billy Eckstine, Johnny Hartman, Darlene Love e Dusty Springfield, ma a un certo punto Chrissie Hynde (voce e fondatrice dei Pretenders, ndr) ha riportato alla ribalta quel modo di cantare. Io amavo molto la sua voce e ho smesso di nascondere il vibrato — al contrario ho imparato a servirmene nelle note lunghe. A volte viene da solo, a volte è controllato. La sua comparsa è regolata dalla stanchezza e dal registro musicale.

Il regista Billy Wilder teneva una fotografia di Ernst Lubitsch attaccata al muro dietro la sua scrivania, con scritto sopra: «Pensa sempre a come l’avrei fatto io». Lei ha collaborato e suonato con tutti i più grandi artisti del mondo: sulla fotografia di chi la scriverebbe, quella frase?

Dovrei avere una cornice vuota e piazzarci dentro una fotografia diversa ogni giorno: Cliff Edwards, Levi Stubbs, Rick Danko, Joni Mitchell, James Carr, Brian Wilson, Teddy Wilson, Dan Penn, Coleman Hawkins, Richard Rodgers, Lorenz Hart, Franz Schubert, Frank Sinatra, Joe Strummer, John Lennon, Mavis Staples, Curtis Mayfield, Miles Davis, Harpo Marx, Hank Williams, Hank Cochran, Hank Jones, Johnny Mercer, Willie Mabon, Aretha Franklin, oltre a quelle di moltissimi amici e colleghi con i quali ho condiviso una canzone e le ore necessarie per farla.

La letteratura ha preso molto dalle sue canzoni, dai suoi versi. Lei ha preso altrettanto dalla letteratura? E, se sì, da chi?

Io non leggo libri nel modo in cui ci si potrebbe immaginare. Leggo più che altro storia, poesia e versi senza senso. Mi è stato recentemente chiesto di nominare un libro che mi piacerebbe aver letto e come risposta ho dato l’indirizzo della British Library. Non stavo facendo solo dell’ironia.

Quando ha pubblicato My Three Sons io stavo per l’appunto occupandomi dei miei tre figli, e ho preso quel brano come modello — oltre a Paperino. Poi loro sono diventati grandi, di figli ne sono venuti altri due, c’è pure una femmina, io non sono più solo — insomma, si è complicato tutto. C’è un’altra sua canzone dalla quale posso prendere ispirazione?

C’è una canzone che mia madre non ama perché dice che è morbosa. S’intitola I Want To Vanish. Be’, invece io credo che sia un pensiero bellissimo. Anche perché, alla fine, si svanisce davvero.

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Corriere della Sera, La Lettura, October 21, 2018


Sandro Veronesi interviews Elvis Costello.

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