Rumore, September 2016

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Elvis Costello


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   Emanuele Sacchi

Musica infedele e inchiostro simpatico. E chissà quanti giochi di parole si sarebbe inventato il quattrocchi più famoso del rock, se solo avesse saputo che in italiano l'inchiostro che scompare si chiama "simpatico'. Con i calembour Elvis Costello ha sempre avuto un rapporto privilegiato e il titolo della sua autobiografia — infine approdata in Italia per Baldini & Castoldi — non si smentisce. Quarant'anni di carriera affrontati con la penna di un musicista che è anche intellettuale e umorista, oltre che lavoratore", come orgogliosamente si autodefinisce.

'Job" è un termine che ricorre spesso quando Costello parla, e per ragioni molteplici. Il colore che Costello dà alla parola non la sminuisce ma la eliiva, cosi come non sminuisce la parola sarti quando le due vanno a braccetto in maniera, per una volta, armoniosa. D'altronde Declan Mcivlanus, come sarebbe noto all'anagrafe Elvis Costello, per raggiungere suo sogno e per sbarcare il lunario, di jobs ne ha svolti parecchi: ha fatto il commesso. ha fatto data entry (ossia ha pigiato pedissequamente numeri sulla tastiera di un computer come un robottino), ha lavorato in banca e molto altro ancora. Non solo ha conquistato con fatica la posizione che oggi occupa, ma conosce come pochi la differenza tra questo e quel lavoro L'autobiografia in questione è un occasione unica per penetrare la barriera tra pubblico e privato. musicista e uomo, e le rivelazioni quando si parla di Costello sono all'ordine del giorno, così come le traumatiche apparizioni televisive o le tragiche uscite in stato di ebbrezza. Ma di tutte le leggende sul suo conto, quella del tipo pericoloso o inaffidabile, temibile da affrontare in un'intervista, resta la meno rispondente al vero. Non so se debba ringraziare dei santi specifici. per il privilegio di avere a mia disposizione un noto attaccabrighe umorale nel migliore dei mood possibili, ma Costello veste i panni dell'interlocutore ideale, desideroso di lasciarsi atirdare a un flusso sostanzialmente privo di interruzioni (e quasi impossibile da interrompere) lungo il ciottolato della memoria. Persino quando nel luogo in cui mi trovavo — obbligato da fattori sterzi" — hanno fatto irruzione tre tizi dai volti patibolari, capaci esclusivamente di esprimersi oltre i 200 decibel con frasi condite tassativamente da qualche "figa" se non da una bestemmia, McManus non ha fatto una piega, mai. Impassibile e imperscrutabile, è andato semplicemente avanti con rl suo racconto, senza nemmeno cambiare tonalità di voce. Quasi senza voler accettare delle scuse, perché "non ce n'è bisogno".

Come si chiama quella sensazione, quando non sai bene come sintetizzare un concetto importante, magari associandovi un volto? Ecco, nel mio schedario personale ora la parola 'professionista" ha una sola e inconfondibile foto, di un tipo con occhiali dalla montatura spessa, che si fa chiamare come il Re del Rock.

Uno che cosi, incidentalmente, ha suonato con Allen Toussaint, Burt Bacharach e i Roots. Uno che con i titoli delle sue canzoni ha ispirato romanzi di Bret Easton Ellis, come Meno di zero — che prende il nome da Less than Zero di Costello — e cover di Chet Baker, come Almost Blue. Un "professionista", rimasto tale nel circo dei musicisti, dove spesso bastano un bis e una groupie per montarsi la testa e credere di essere un semidio.

Che ha scelto di raccontare, senza il narcisismo di un Keith Richards o il free form di Neil Young, se stesso e, insieme a lui, un pezzo di storia.


Inevitabile partire dalla tua autobiografia e dall'occasione di un simile sulla tua carriera. Quando nasce l'esigenza di fermarsi e rivolgere lo sguardo indietro, cercando di ricostruire quanto avvenuto e il suo senso?

"Probabilmente volevo scrivere una autobiografia già quando avevo 24 anni -spiega Costello — benché fosse molto sciocco, visto che di vita a quell'età non ne hai ancora effettivamente vissuta una. Negli ultimi dieci anni ho pensato alla maniera migliore di scrivere un libro sulla mia carriera, anche se procedevo lentamente per dare spazio ai miei concerti, ai miei impegni come musicista o alla vita con la mia famiglia. senza cercare di dedicare i momenti di pausa alla scrittura Nel frattempo valutavo i possibili approcci alla stesura di questo libro... Ho trovato un momento per guardare indietro, alle mie esperienze di infanzia, a questo processo continuo di coinvolgimento nella musica; ai miei genitori e al loro coinvolgimento nella musica. La musica ha ottenuto uno scopo nella mia famiglia che forse non ha avuto per i miei colleghi, io sono cresciuto con essa e in essa, e questo credo fosse un buon punto di partenza per questa indagine a ritroso. Ovviamente mi soffermo anche sull'opportunità e il privilegio di avere suonato insieme ad alcuni dei miei eroi di gioventù, al fatto di essermi trovato in una stanza con gente come Paul McCartney o Burt Bacharach. Non ho mai menzionato i nomi dei musicisti solo per il gusto di farlo e per collezionarli, ma perché ho tratto qualcosa da quelle esperienze Questo libro non rappresenta la fine di una storia, bensì l'inizio di una nuova'.

Il tuo ultimo tour, Detour, presenta più di un punto di contatto con il lavoro autobiografico: il racconto di un'epoca attraverso le passioni dí un ragazzino che man mano cresce e diventa una star...

"Infatti, chi ha seguito i concerti del Detour Show potrebbe aver colto una relazione, ma il modo in cui la storia è raccontata sul palcoscenico rispetto alla pagina è differente: nello spettacolo tutto è più frivolo ed è correlato alle canzoni che vengono eseguite in scaletta. Sulla pagina i dettagli sono gli stessi ma i significati cambiano, si ampliano e il tono si fa più serio, talora con risvolti tragici che sul palco non comparirebbero mai".

L'altro torna fondamentale di Detour è l'evoluzione dei media, che procede di pari passo con il tuo viaggio sul viale dei ricordi, attraverso una scenografia semplice e indimenticabile. Come nasce questa scenografia?

"Ho visto l'opportunita di assemblare a poco a poco la scenografia. il palco-TV, i frammenti di testi da proiettare durante l'esecuzione di altre canzoni. Alcuni in relazione con quello che sto cantando, altri invece con un rapporto più astratto. La TV stessa diventa un piccolo palcoscenico. una scatola all'interno di una scatola più grande. Volevo essenzialmente avere un campo da gioco in cui potermi muovere. che si potesse modificare a piacimento benché la scaletta restasse fissa ogni sera. Preferisco che ci sia un po' di rischio: in genere, con uno spettacolo più flessibile, a determinare





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Rumore, No. 296, September 2016


Emanuele Sacchi interviews Elvis Costello.

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