Mi ricordo, sì, mi ricordo. Ci fu un periodo in cui su Elvis Costello si abbatterono gli strali tutti positivi della critica musicale nostrana (e quantomeno europea). Il simpatico MacManus divenne il genio indiscusso della nuova canzone d’autore inglese, figlia di istanze new wave, insolenze mod/punk e versatile al punto di metabolizzare ritmi e culture altre (il reggae, tanto per citarne una): il tutto sorretto da liriche intelligenti e acute. Costello era artigiano speciale in questo viatico, capace di sfornare a getto continuo – la sua produzione tra la fine dei ’70 e la prima metà degli ’80 è forsennata – dischi di grande qualità, che gli valsero la stima incontrastata di tutti gli addetti ai lavori e di una fetta consistente di pubblico. Diverse fasi si sono succedute da allora, ma quello che si può dire di un autore potenzialmente così popolare, è di essere sempre stato troppo raffinato per coinvolgere le masse. Con il passare del tempo la fascia di pubblico si è ristretta, e oggi Costello, dotato sia ben chiaro di una libertà artistica che gli permette di spaziare tra la classica, il rock, il pop e eventuali colonne sonore, è un feticcio per appassionati. Non che i suoi ultimi lavori abbiano smesso di destare sensazione, anzi: il disco con Bacharach lo ha sicuramente riportato in prima linea in quanto a credibilità e potenzialità musicali, però si ha come l’impressione che la sua smisurata produzione abbia fatto meno breccia del legittimo nel mondo della musica. Questa antologia realizzata dalla Universal, sua casa discografica da un anno circa, mette in mostra i pregi e i difetti della sua produzione con grande chiarezza: da un lato canzoni semplici, a tratti geniali, raffinate, versatili e ‘artigianali’, dall’altro, c’è da dire che a motivi splendidi come “Shipbuilding” (coverata con grande successo da Robert Wyatt), “Everyday I write the book”, “Alison” e “Good year for the roses” corrispondono troppe canzoni esili e ambientate profondamente nel brit-pop di marca eighties, con il risultato che alla fine il brodo si allunga un po’. “The very best” rappresenta comunque un condensato più che valido del canzoniere di Costello, e può servire da disco d’archivio per chi fino ad oggi si sia perso l’occasione di fare la sua conoscenza.
|